E Catania? Com’è andata a finire? Ok, tu non sei catanese e di Catania non te ne frega niente. Però alle volte in una città si concentra qualcosa di un sacco d’altre città in quel momento, e questo giù in Sicilia è un fenomeno che si verifica spesso. Perciò, un po’ di pazienza. Riassunto delle puntate precedenti.
A Catania, dopo moltissimi anni, la gente s’è abituata di nuovo a vivere, come ai bei tempi, senza la rotture di scatole rappresentata dalla presenza continua dei cavalieri mafiosi, sconfitti dopo un’epica lotta dalle scalcagnate brigate dei giacobbini. Siccome però i giacobbini non sono abituati a governare, e facilmente si fanno imbrogliare (avolte persino in cambio di niente) dai baroni, dopo un po’ tutto è tornato al tran-tran di prima. Senza più mafia al potere, che non è poco; ma senza nemmeno più la spavalderia e la luce dell’antimafia.
Bene: un paio dei giudici, a un certo punto, hanno cominciato a pensare che in giro c’era già aria di gattopardo: e l’hanno detto. Dopo varie traversie, sono riusciti a farsi ascoltare dal consiglio nazionale dei magistrati, il Csm. Il Csm però ha detto: “Siete pazzi. A Catania tutto va bene” e ha deciso anzi di cacciare uno di questi giudici, il più anziano. I cittadini (che se li ricordavano dal tempo di guerra, quand’era l’unico a far casino contro i mafiosi) sono insorti, e hanno raccolto un mare di firme per non farlo andar via. La situazione si è bloccata qui. Quanto al secondo giudice, quello giovane (e quindi più vulnerabile) gli hanno fatto una gran lavata di capo, ammonendolo a far meno chiacchiere in avvenire. Poi hanno preso l’industriale che lui aveva fatto arrrestare come amico dei mafiosi, e l’hanno scarcerato con tante scuse. Costui, che si chiama Scuto, formalmente è ancora incriminato. In pratica l’ha scapolata. E questa è la prima storia.
Seconda storia. A Catania c’è un centro sociale, che si chiama Auro e che è stato portato via a uno dei principali padroni della città. I ragazzi l’hanno occupato, tanti anni fa (e uno, per difenderlo, è morto) e ne hanno fatto un posto bellissimo in cui, fra le altre cose, si insegna a leggere e scrivere (cioè, nel duemila, insegnare il computer e l’internet) a tutti i ragazzi del quartiere. Siccome (ma mi pareva di avervelo già fatto capire) a Catania la sinistra non è molto svelta, fra una cosa e l’altra è arrivato un bel sindaco di destra. E l’altro giorno questo sindaco ha detto: “Quale centro sociale e quale internet! Ridatemi il vostro posto, che ci voglio fare gli affari miei”. E visto che gli avanzava un po’ di tempo, nell’occasione ha decretato anche che a Catania ci vuole un bel ritrovo di giovani, certamente, e quindi adesso apriranno la sede dei fascisti di Forza Nuova.
Naturalmente gli intellettuali della città hanno protestato (spegnere i computer in una città che vorrebbe diventare la Silicon Valley del Sudeuropa!), ma degli intellettuali e dei computer ai sindaci catanesi (con qualche occasionale eccezione) non glien’è mai fregato niente.
Così, fra un paio di mesi, a Milano o a Bologna ci saranno una ventina di programmatori Linux nuovi. Saranno i ragazzi catanesi che, cacciati a pedate dalla loro città (dove si preferiscono i fascisti col manganello di Forza Nuova e compagnia bella) se ne dovranno andare in esilio per l’Italia coi loro computer seminuovi e i loro bellissimi programmi in testa.
Bene. Ma voi compagni, glielo lasciate fare? Eh, Giorgio: ora ti spiego. Mica facile, da Bergamo, capire le tortuosità della sinistra siciliana.
In Sicilia, negli anni Ottanta e Novanta, c’è stata una delle migliori sinistre dell’universo. Una sinistra nuova, talmente appassionata e disperata da doversi reinventar nuova per forza. Orlando, Pintacuda, Galasso, Carmine Mancuso, Claudio Fava… Qualcuno di questi nomi l’avrete sentito dire, spero. Era gente che, negli anni di mafia, usciva ogni mattina di casa senza sapere se sarebbe tornata. Gente che voleva davvero bene al suo paese, che s’è messa in politica non per fare carriera ma per dare una mano a tutti. E, finchè è durata la guerra, è stata all’altezza.
Nel dopoguerra, no. Chi si è fatto pigliare dalla paranoia di diventare gran politico e gran signore. Chi s’è messo a girare per partitini e partiti alla cerca della Politica Vera. Chi s’è messo a sorridere a tutti gli adulatori e marpioni che passavano a scappellarsi davanti al suo palazzo. Chi… Basta: di questi compagni, che tutti uniti hanno fatto tremare i mafiosi e i Cavalieri (e Craxi), e che insieme avrebbero potuto essere la nuova classe dirigente, adesso non ce n’è più due che si salutino fra di loro. Ciascuno di loro, naturalmente, è persuaso d’essere proprio lui il politico giusto, e tutti gli altri coglioni (o peggio). Nessuno di loro, da solo, è riuscito a fare un centesimo delle cose che avevano fatto tutti insieme. Ciascuno di loro, adesso, è costretto a lavorare per qualche altro re: re “progressisti” e marpioni, i più fortunati; re Berluscone (chi l’avrebbe mai detto) i più disgraziati. La gente, che ancora sogna i tempi in cui si stava tutti insieme alla garibaldina e si vinceva, li guarda stralunata mentre cavalcano da un palazzo all’altro, del tutto inutilmente, in sella a sbuffanti e sfiatati cavalli bianchi.
A Catania, negli ultimi mesi, tutto ciò è venuto alla luce drammaticamente. Un vecchio giudice onesto, amato dai cittadini, cacciato come un bandito perchè ha osato dire “non c’è giustizia”; e la città che si oppone, la gente che aspetta un cenno per scendere tutta compatta – come nei vecchi tempi – per difendere l’antimafia; ed ecco che la sinistra si divide, comincia a farfugliare “ma” e “forse”, e lascia il vecchio giudice solo e permette che un imprenditore sotto inchiesta per reati pesantissimi se ne torni tranquillamente a casa cantando, ballando e facendo pernacchie al magistrato.
Soltanto due politici, nel caso dei giudici catanesi, hanno avuto il coraggio di prendersi le proprie responsabilità di fronte al popolo e di difenderlo fino in fondo. Uno è un estremista di Rifondazione, e per giunta omosessuale: non farà gran carriera, scommettiamo, e sarà grasso che cola se, nel mondo felice che s’avanza, riuscirà a sfuggire al lager cui ha doppiamente diritto. I compagni, comunque, l’hanno tranquillamente isolato. L’altro invece è un fascista, un ex magistrato; un uomo onesto, uno che alla giustizia ci crede. Lui, l’hanno isolato i camerati: per cause d’alta politica, gli hanno detto, non possiamo ricandidarti alle elezioni. Zitto, e a casa.
E la sinistra perbene, e i “moderati”? Non sa niente, niente ha visto e non c’era. E ora comunque è troppo impegnata con la campagna elettorale. che, a questo punto, è facile prevedere come può andare a finire. Con gran “ritorni al privato” e grandi rinfacciamenti reciproci e gran piagnistei – siamo pronti a scommetterci – il giorno dopo le elezioni, e con nessuno di questi grandi politici che si degnerà di scendere da cavallo e di ricominciare a metter su una sinistra. Il che mi fa pensare – Giorgio, Campanellina, Lucio, Rosanna, Fabiolino, Ester, Marzia – che come l’altra volta dovremo rimboccare le maniche e pensarci noi.
E questo è quanto. Anzi no, due cose ancora. All’Auro, cosa vogliono metterci dopo che avranno cacciato (se ci riescono) computer e programmatori. Io non lo so. Ma, in coincidenza con la cacciata (gestita dalla “destra”) sento boatos di una grossa operazione d’affari (gestita dalla “sinistra”) più o meno nella stezza zona, e parlo del Metacatania di San Berillo.
Dentro la quale operazione – propagandata con pagine gratis e anonime, tanto per dire, del principale giornale di Berlusconi – ci sono dentro fraternamente tutti, destra e sinistra: la moglie dell’ex sindaco come la figlia del padrone-editore, l’ex testad’uovo del “rinnovamento” come l’assessorato forzitaliota. Nomi? Lorena Virlinzi, Giuseppe Berretta, Carla Ciancio, Nanni Zeno-Bianco, Ciccio Guarnaccia, Harold Bonura. Niente di male, s’intende. Ma io – come diceva l’orco – “ucci ucci, sento odor di cristianucci”.
L’ultima cosa, e poi non vi disturbo più con la Sicilia, almeno per una settimana. In questi giorni in tutta l’isola si stanno facendo delle riunioni sul tema “rifare la Rete?” (anche qui, detto molto rozzamente: ma la sostanza è quella) nel quadro della campagna elettorale, per la presidenza della Regione, di Leoluca Orlando. È un tema popolarissimo, perchè la base della nuova sinistra siciliana in realtà non ha mai accettato la scomparsa – in gran parte dovuta a diatribe e ambizioni personali – della Rete.
Allora, io ritengo (contrariamente a molti altri) che Orlando sia stato un buon amministratore per Palermo, e che lo sarebbe senz’altro per la Sicilia nel suo complesso. Se c’è da votarlo, lo voto senza problemi. Ma la Rete, come l’avevamo voluta all’inizio, era un’altra cosa. Era un fatto non solo di buona amministrazione e di politica; ma di etica nuova, di partecipazione delle persone, di democrazia. E, sotto questo punto di vista, non ha funzionato. Non ha funzionato, in buona parte, a causa dei limiti culturali (e sociologici) di Orlando: che è un ottimo sindaco, un miglior governatore (si dice così?) di regione, un magnifico principe, ma non un democratico e non – purtroppo, perchè avevo creduto il contrario – un cittadino.
Allora, ingoieremo tutti i rospi che sarà necessario ingoiare. Voteremo per Orlando, per avere un’amministrazione civile. Voteremo Rutelli, per scapolarcela da Berlusconi. Voteremo l’ulivo, la margherita, il girasole la quercia e tutto l’orto botanico che ci metteranno nel piatto, per evitare il peggio e per salvare un minimo di convivenza civile. Ma per costruire, no. Per costruire (la democrazia, l’uguaglianza, la partecipazione alla pari degli esseri umani, il lavoro comune al di là dei partiti, le cose cui giù in Sicilia per una breve stagione avevamo dato il nome di Rete), per costruire – quando verrà il momento – quegli uomini e quelle sigle sono ormai troppo vecchi. Hanno fatto cose bellissime, e poi sono tornati indietro. Sono sempre degni di gratitudine per quello che hanno fatto. Ma credibili non lo sono più.
Libertà di stampa. Subito dopo il libro di Travaglio, è uscito un altro libro su Berlusconi: “Il Cavaliere B.”, di Michele Gambino. L’autore, che si occupa di roba del genere da vent’anni, è uno dei giornalisti italiani che hanno ricostruito con più accuratezza e più costanza tutte le tappe della carriera del datore di lavoro del signor Mangano e del signor Dell’Utri. Non credo tuttavia che abbiate sentito parlare di questo libro, che è stato praticamente silenziato da tutto il sistema informativo italiano. A stamparlo è stato un piccolo editore, Piero Manni di Lecce. Una televisione pugliese, Canale 8, aveva organizzato un dibattito in diretta per l’uscita del libro. All’ultimo momento, il dibattito è stato annullato dai proprietari per misteriose ragioni. Il direttore editoriale del’emittente, Stefano Mencherini, si è dimesso per protesta. L’Espresso ci ha fatto su un trafiletto di dieci righe. Tutto qua.
Ancora sulla libertà di stampa, più sommessamente: quando scoppiò la guerra del Golfo, il mio giornale di allora (un piccolo e tosto settimanale di sinistra) riuscì a spararsi un’edizione straordinaria di sessantaquattro pagine nel giro di esattamente dieci ore e mezza. Non credo che siano molti i settimanali italiani, quelli grossi e forzuti, in grado di fare una cosa del genere: noi ci siamo riusciti. La collega che in quell’occasione aveva il compito di “giocare al centro” (coordinare,. passare, piazzare le palle giuste agli attaccanti) si chiama Giulia Salvagni e in quell’occasione è stata una dei migliori mediani che io abbia mai visto giocare in un giornale. Avete mai sentito parlare di lei? Mi fate la gentilezza, un giorno o l’altro, di cominciare a chiedervi perchè?
Libertà di stampa. Sono stati condannati, dopo più di vent’anni, i boss mafiosi (Riina, Madonia, Geraci, Farinella, Greco, Bagarella e Calò) che il 28 gennaio 1979 fecero assassinare il giornalista antimafioso Mario Francese. Sono almeno otto i giornalisti morti in Sicilia combattendo contro il potere mafioso, negli anni in cui in altre parti d’Italia si discuteva se era meglio essere celtici oppure essere romani.
Libertà di stampa. Sciopero dei giornalisti di Repubblica, l’altra settimana: i proprietari avevano chiuso le porte in faccia a un collaboratore e, poichè quello non se ne andava, avevano chiamato la polizia. Assemblea di redazione, e sciopero di solidarietà. LA notizia, mi sembra, è stata data solo dai (giornalisti) del manifesto.
Eppure, alla fine ci siamo abituati di nuovo (ai cartelloni nelle piazze con la foto di Lui).
Par condicio. Sia io che Berlusconi abbiamo il diritto di dire la nostra.
Congratulazioni. Il compagno Nero Nesi, ex presidente socialista della Banca Nazionale del Lavoro al tempo di Craxi e attualmente valente esponente comunista, è stato nominato Capitano d’Onore della Guardia Svizzera con decreto motu proprio di Sua Santità. “Per aver validamente difeso i diritti della Santa Sede – si legge nella motivazione – fra i Ministri del regno d’Italia e contro quel miscredente giacobbino di Bordon”.
Ai tempi del papa-re. Se passate da piazza San Pietro verso il crepuscolo, nella soavità del tramonto romano, chiudete gli occhi un attimo e forse sentirete ancora un dolcissimo coro di bambini castrati.
Pianeta. In Sudafrica, una persona ogni cinque è affetta da Aids: più di quattro milioni di persone.
Nel 1997, Nelson Mandela ha emanato una legge per rendere meno costosi i medicinali essenziali per la cura dell’Aids. Trentanove aziende farmaceutiche hanno fatto causa al governo sudafricano per evitare la riduzione di guadagni che questa legge comporterebbe.
Così la legge è rimasta bloccata, e le cure anti-Aids continuano ad essere al di fuori della portata dei cittadini sudafricani. Dal 1997, in Sudafrica sono morte di Aids circa quattrocentomila persona. La maggior parte di loro avrebbero potuto essere curate.
Il processo fra le multinazionali farmaceutiche e il governo sudafricano comincia domani. Il suo esito è decisivo per la sorte di milioni di persone in Sudafrica, e in genere in tutta l’Africa australe.
Medici senza Frontiere ha diffuso un appello umanitario – e vi invita a firmarlo – per chiedere che le trentanove aziende farmaceutiche ritirino la causa.
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Pianeta. La nave dei bambini che vaga – oggi, giorno di Pasqua, nel momento in cui scrivo – su e giù per il golfo di Guinea. Sono in duecentocinquanta, fra gli otto e i dodici anni. Vengono dal Togo e dal Benin e i genitori, in miseria, li hanno venduti. I loro padroni li aspettano, da qualche parte in Africa o nella civile Europa: ma la nave che li trasporta, individuata come negriera, non osa più avvicinarsi in nessun porto. E vagano per il mare, nel giorno del Signore.
(La Pasqua italiana di qualche anno fa, con la nave degli albanesi affondata a poche miglia dalla nostra riva. Ottanta donne e bambini annegati in Adriatico, dopo l’urto con la nave italiana: e noi italiani in chiesa, devotamente, e il giorno dopo tutti allegri in vacanza).
America. Dice che ai cani della polizia, quando li pigliano e li cominciano ad addestrare, per prima cosa sostituiscono i denti con denti artificiali, di metallo: pare che così siano molto più efficienti e anche psicologicamente più sicuri. Provvedono inoltre ad integrare le mandibole con delle protesi adatte, per rafforzarne la presa. Poi, solo a questo punto, passano all’addestramento anti-uomo.
America: proteste dei neri in una città del nord; il sindaco decreta d’autorità il coprifuoco e minaccia di far sparare dai militari il primo che scende in piazza a dire bai. Cina: l’industriale Ho Gang, titolare di un patrimonio di 120 milioni di dollari, nominato segretario del partitio comunista della sua zona.
La Cina sempre più America, l’America sempre più Cina.
America. Ancora tesi i rapporti fra il Texas e gli Stati Uniti. Questi ultimi accusano i loro partner di aver mandato a ramengo l’economia, di aver messo per strada centomila lavoratori, di essere spie dilettanti, di aver calato le braghe davanti ai musi gialli e infine di ruttare oscenamente ai ricevimenti ufficiali. “Se continua così – ha detto il governatore statunitense, mr Lincoln – faremo la secessione”.
Cronaca. Monterotondo. Due giovani sposi sono rimasti uccisi dalle esalazioni di una stufa nella loro unica stanza, in un alloggio clandestino in un paesino vicino Roma. Lui si chiamava Michel Neagu e aveva ventisei anni. Lei Gina Lepadatu e ne aveva ventitrè. Entrambi romeni, entrambi emigranti in cerca di fortuna.
Cronaca. Anzio. Al terzo furto, i due proprietari della società di autotrasporti (due fratelli romani sulla trentina) hanno deciso di farsi giustizia da sè, e si sono appostati fuori dalla palazzina coi fucili. Arriva una macchina, alle due di notte, e gli si ferma davanti. E i due aprono il fuoco. La ragazza (nella macchina c’era una coppietta) si prende una pallottola di striscio a una mano, il fidanzato resta illeso. Fortunati.
Cronaca. Roma. Un giovane immigrato che vendeva fiori in via Portuense travolto da un automobilista che aveva fretta. Ricoverato al San Camillo. Grave.
Riepilogo II
Avevo diciannove anni quando fui chiamato
era l’anno della grande piena
e della Prima Guerra Nazionale
(o della terza, forse)
e una delle vacche s’era enfiata di stomaco
e il nonno aveva preso due lepri in un giorno.
Quando sono partito c’era molto sole
e mio padre era orgoglioso di me
mia madre aveva polvere in un occhio.
Ci misero in fila ci lessero il proclama
il tenente ci disse che la patria
ma noi avevamo passato la notte sui vagoni
ed eravamo stanchi e non capimmo molto.
Due giorni dopo ci mandarono in linea
tre giorni dopo mi presi la pallottola.
(Mio figlio si chiama Pablo
ha diciannove anni ma è alto per la sua età
occhi e capelli neri
le orecchie a sventola
è sempre stato con noi in campagna
per questo è un poco timido in compagnia.
Se tu sei stato suo compagno in guerra
dimmi perchè non torna).