San Libero – 74

Sinistra 1. Hanno finalmente raggiunto un accordo gli eredi di Harpo e
Chico Marx, i leggendari fratelli comici del cinema americano. Fra i
due da molti anni era in corso una durissima vertenza legale per
decidere chi avesse il diritto di rivendicare l’uso del nome “Fratelli
Marx”. Dopo una lunga e faticosa mediazione degli avvocati, e una cena
a base di piatti tipici emiliani, i due hanno finalmente acconsentito a
riconoscere l’uno all’altro la legittima discendenza dal marxismo. “Non
escludiamo del tutto – ha dichiarato uno di loro – di potere in futuro
organizzare uno spettacolo insieme”.
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Sinistra 2. Ogni due italiani, ce n’e’ esattamente uno di destra e uno
di sinistra. L’italiano di destra, che e’ un imbecille, telefona,
prende gli ordini e va a votare. L’italiano di sinistra, che e’ una
persona intelligente, si prende a pugni in testa, si sputa allo
specchio, si rade meta’ faccia, si da’ martellate sui testicoli per
curare defaillances occasionali, si mette un calzino verde e uno blu,
si infila due scarpe differenti (una da un milione e l’altra da
trentamila lire), si automaledice un’ultima volta mentre gira la
chiave, e infine esce di casa per andare a votare. Indovinare quale dei
due italiani andra’ al governo.
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Italia. Fra una cosa e l’altra i giudici hanno scoperto che,
nell’omicidio della contessa Augusta Vacca, probabilmente c’entra il
tesoro di Craxi: una parte dei fondi all’estero del partito socialista
potrebbero essere finiti, attraverso uno dei suoi accompagnatori, alla
contessa. Di questi soldi si era rapidamente, e minacciosamente,
parlato una settimana prima dell’omicidio, con uno scambio di messaggi
fra alcuni dei personaggi dell’epoca, adesso impegnati in operazioni
politiche di sopravvivenza. L’eredita’ del passato grava pesantemente
sul presente – e forse uccide.
Le indagini della procura di Chiavari sono ora indirizzate alla
verifica dei movimento dei fondi attorno alla signora uccisa, seguendo
l’ipotesi avanzata da tutti i giornali stranieri che si erano occupato
del caso e – in Italia – soltanto dal Diario e da noi della Catena.
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America. Trasmesso in diretta tivvu’ il processo a un ragazzino di
quattordici anni accusato di omicidio in Florida.
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Inghilterra. Reintrodotti nel centro di Londra i vespasiani, aboliti
alcuni anni addietro e legati nella memoria dei tabloid a ministri
tories e guardie della Regina.
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Cina. Circa sessanta minatori sepolti vivi in una miniera di carbone ad
He Gang per una fuga di grisou. Altri cento minatori erano morti in
passato nella stessa miniera. Stakanovismo e capitalismo, insieme.
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America. A una svolta risolutiva la guerra fra Texas e Stati Uniti. I
texani sono infatti riusciti a infliggere, in meno di due mesi, danni
senza precedenti all’economia degli Stati Uniti, i cui disoccupati
aumentano ormai al ritmo di duecentomila al mese; sono inoltre
riusciti, con una brillante operazione tecno-finanziaria, a tagliare
completamente l’energia elettrica per diverse ore al piu’ importante
stato dell’Unione rivale, la California.
Oltre a questi successi, i texani ne hanno conseguito uno
importantissimo in politica estera: Austin e’ riuscita a isolare
internazionalmente Washington, esclusa nelle ultime settimane da due
importanti commissioni delle Nazioni Unite (diritti civili e
antidroga).
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Pianeta. Lieve diminuzione nel 2001 degli accessi all’internet negli
Usa.
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Pianeta. Titoli dai giornali su cio’ che e’ successo nel mondo:
“Uccisa una neonata per rappresaglia”.
“Marinano la scuola. Lapidati”.
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Cronaca. Roma. “Un barbone dell’apparente eta’ di cinquant’anni, privo
di documenti, di carnagione bianca…” e’ morto all’angolo fra via
Statilia e via Santa Croce in Gerusalemme.
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Cronaca. Udine. Due autisti obbligano a scendere da un autobus di linea
un utente nero, che aveva regolarmente pagato il biglietto ma di cui
non gradivano il colore della pelle.
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Cronaca. Roma. Semaforo. Macchina ferma e finestrini aperti. Il ladro
afferra la borsa della donna alla guida ma lei accelera, lo trascina
per alcuni metri col braccio ancora dentro, scende, lo aiuta a
rialzarsi, gli presta i primi soccorsi, lo fa salire a bordo e lo
accompagna all’ospedale dove lavora come infermiera.
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Elezioni 1.

Il 6 gennaio del 1984, davanti alla sede del mio giornale – il
direttore era stato ammazzato dalla mafia il giorno prima – c’era un
gruppo di ragazzi fra i sedici e i diciott’anni. Erano le otto del
mattino e la saracinesca del giornale era ancora chiusa. “Che cosa
volete? – li apostrofai bruscamente – Abbiamo da fare, oggi. Molto da
fare”. “Siamo venuti per fare la diffusione militante del giornale”
rispose il piu’ anziano di loro. Io non sapevo ancora se sarebbe
uscito, quel giorno, il mio giornale. Ma loro si’. Non ne avevano il
minimo dubbio,e venivano – com’era stato loro insegnato – a mettersi a
disposizione nel momento del pericolo. Erano comunisti.
Nessuno di quei ragazzi – Federazione Giovanile Comunista Italiana,
Circolo di Sant’Agata Battiati, provincia di Catania, Sicilia – ha
fatto una carriera nel partito. Ho incontrato qualche tempo fa, per
puro caso, il loro “capo” (si chiamava Maurizio Parisi, se puo’
interessare il nome di un comunista che non conta): adesso e’ un
giovane disoccupato sulla trentina, ma all’ingresso di casa sua c’e’
sempre il manifesto col Che Guevara. Un ragazzo era stato ucciso in
quegli anni, in provincia di Catania, solo perche’ era della Fgci: suo
padre, che era un mafioso, non si fidava di lui, che era un comunista.
Il piu’ famoso avvocato comunista dell’isola, l’avvocato Riela, si rese
in quegli stessi anni protagonista di una polemica perche’ difendeva i
mafiosi. “Professionalita’: difendo chi mi paga”, rispose il compagno
avvocato; e la polemica fini’ li’.
Ricordo i compagni del mio paese passarsi i sacchetti di sabbia, nel
Settantadue lungo l’argine, il giorno della grande alluvione. Ricordo i
figiciotti col sacco a pelo, nel 1976 su in Friuli, i primi da tutta
Italia – e, per qualche giorno, i soli – venuti inquadrati e compatti a
soccorrere i terremotati. Ricordo la compagna Eliana, ex staffetta
partigiana e ora organizzatrice sindacale, percorrere in bicicletta i
villaggi della pianura per organizzare le contadine.
Ecco, questo partito e’ quello che ha perduto le elezioni. Non le ha
perdute adesso, le ha perse molti anni fa. Ed e’ l’unico, adesso, che
possa salvare il paese. Si contano le percentuali e i centesimi,
adesso, si disputa su chi sia il proprietario, adesso, della parola “di
sinistra”. Ma a Maurizio Parisi e ai suoi compagni, chi ha qualcosa da
dire?
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Elezioni 2. Questo articolo usci’ sui Siciliani la volta che il signor
B. vinse le elezioni, tanti anni fa.

Questa casa non conosce la rassegnazione. Questa piccola scritta stava
nella stanza di Winston Churchill durante la guerra. Subito dopo la
sconfitta di Dunkerque – il corpo di spedizione britannico era fuggito
a stento, i tedeschi dilagavano trionfalmente dappertutto – Churchill
organizzo’ immediatamente due cose, che a lui sembravano parimenti
indispensabili e urgenti. Fece scavare trincee lungo la costa,
distribui’ le armi ai cittadini, predispose la resistenza di tutti
dappertutto: se mai gl’hitleriani fossero riusciti a sbarcare. E
predispose gli studi – con decorrenza immediata – per la costruzione
dei nuovi mezzi da sbarco per l’esercito inglese. Perche’ sul fatto che
l’esercito di Sua Maesta’ prima o poi sarebbe tornato in Europa, egli
non aveva il minimo dubbio. E per quel giorno intendeva debitamente
tenersi pronto.
Noi non cerchiamo scuse. Noi non attribuiamo la deplorevole vittoria
della destra a errori o insufficienze di questi o quelli, che pur ci
sono stati. Noi diciamo che se un Caponnetto ha potuto essere sconfitto
a Palermo, evidentemente qualcosa di profondo, e di marcio, e’
cresciuto nell’anima popolare. Noi non ci nascondiamo di chi e’ stata
la vittoria; non d’una destra moderata, civilizzata, europea, ma d’una
armata nera che arruola fra i suoi ufficiali tutto il mercenariato –
soprattutto in Sicilia – del passato regime. Non ne abbiamo paura.
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Gladiatore Piscitello, presente!

“Porca mafia! Porci piduisti! Bestia d’un gladio! E bestia io che mi ci
son messo!”. Come ogni sabato, il gladiatore scelto Antonio Piscitello,
impiegato di terza classe al municipio di Caloria,: bestemmiava attorno
agli stivali della divisa. “Che hai?” urlo’, come tutti i sabati, la
signora Assunta. “Ho, ho… Ho che questi porci stivali… Porco
gladio! Porco chi l’ha inventato e porco Presi…”. “Zitto, bestia! Ci
vuoi rovinare?”. Con un sospiro, la signora Assunta prese il
calzastivali, s’inginocchio’ accanto al marito e alla fine fra tutt’e
due, come Dio volle, riuscirono a farcelo entrare. Sul pianerottolo,
Piscitello si fece da parte per lasciare passare il capomanipolo
Pasquarelli: “Piscitello! A chi l’Italia?”. “A noi!”. In piazza, la
solita solfa: “Gladiatoriii… A noi!”.
“Gladiatoriii! Saluto al Duxe!”. “Gladiatoriii… Saluto al
Presidente!”. Discorsi, impero, Somalia italiana, Albania italiana,
Medioriente italiano, Giovinezza, Marcia presidenziale e poi finalmente
tutti a casa. A casa – come ogni sabato – Piscitello si stravacca
faticosamente sulla sua poltrona, la signora Assunta gli toglie
faticosamente gli stivali, e poi il rito finale: la signora va a
prendere il ritratto a colori del Presidente, lo regge – pur
continuando a protestare – a braccia tese davanti a Piscitello, e
Piscitello (“Porco che non sei altro! E io piu’ porco di te che ti sto
dietro!”) ci sputa sopra. Infine il ritratto, debitamente pulito col
panno, vien riportato in salotto, e Piscitello sprofonda davanti alla
seicentodiciottesima puntata di “Fantastico gladio”.
Col gladio, a dire il vero, Piscitello – alieno dalla politica com’era
– non ci aveva mai avuto a che fare. Ma sessantacinquemila lire al mese
sono sessantacinquemila lire, e la signora Assunta, a furia di
conoscenze e di buone parole, era riuscita a farlo iscrivere lo stesso.
“Tieni! E ringrazia il cugino Battista che te l’ha fatto avere!”. Il
brevetto di gladiatore, a Piscitello, gli era costato duecentomila
lire, perche’ il cugino Battista, essendo socialista, aveva voluto il
suo interesse in contanti. In compenso, lo aveva fatto iscrivere come
gladiatore della prima ora.
Cosi’, adesso, gli toccava anche stare a sentire il capufficio,
Purcheddu, che lo mandava a chiamare quand’era di buonumore: “Noi
vecchi gladiatorri – faceva – noi pellacce… eh, Piscitello? Noi che
sappiamo cosa vuol dire essere perseguitatti… Perche’ dovete
imparare, voialtri giovanotti, che cossa voleva dirre fare i
gladiatorri una volta! Come si chiamava quel giudice, quella testa
di… quel Casso’n, ecco! Ce n’e’ voluta per levarci di torno la gente
come lui… eh, Piscitello?”. E Piscitello annuiva.
“Quel Casson! Ma ha fatto la fine che meritava, alla fine. E quel Carlo
Palermo! E quel Mancuso! Ce n’e’ voluta, eh, Piscitello? No, no, non
fate questa faccia, camerati. Lo so anch’io che ‘sti nomi non si
potrebbero dire. Ma fra noialtri gladiatorri…”. “Camerata Purcheddu,
la sapete l’ultima sul camerata Martelli? Dunque: il camerata Martelli
va a Washington per una visita di Stato…”. Ma a questo punto il
capufficio Purcheddu tossiva severamente, e tutti si rimettevano al
lavoro.
Lasciamo trascorrere gli anni sulla vita dell’impiegato Piscitello. La
guerra di Somalia, il Barhein, le leggi antislamiche, l’oro alla
patria, l’Albania… A ognuna di queste memorabili svolte della Storia,
il Duxe s’affacciava alla televisione urlando: “Lo volete voi?” e
milioni d’italiani immediatamente sbraitavano “Si’! Lo vogliamo!
Vogliamo vivere pericolosamente!”. In realta’, da lunghissimi anni, gli
italiani non desideravano altro che di evitare ogni sia pur minimo
fastidio: bastava tenere in casa un ritratto di Pertini o una copia
della vecchia Costituzione per essere gia’ schedati come antipiduisti.
Neanche Piscitello era un eroe. E’ con un certo stupore dunque che lo
ritroviamo, nell’ottobre 2006, in un fascicolo della polizia. “Il
nominato Piscitello Antonio trovandosi in un pubblico esercizio veniva
pubblicamente sorpreso a sbadigliare, come da materiale fotografico
allegato, in concomitanza alla trasmissione, da parte dell’Apparecchio
Televisivo Autorizzato, del Bollettino di Guerra numero
millecinquecentosei relativo all’avanzata delle nostre gloriose truppe
nel deserto dello Yemen Occidentale…”.
Nessuno fu mai in grado di provare che lo sbadiglio di Piscitello
avesse un significato politico, che in verita’ neanche lui stesso
sarebbe forse sarebbe riuscito a stabilire. Questo gli evito’ di essere
spedito al confino a Capo Marrargiu, ma non di essere sospeso per un
mese, al municipio di Caloria, dal lavoro e dallo stipendio. Un mese
che il povero Piscitello passo’ quasi interamente a letto. Il
ventinovesimo giorno, lo venne a trovare il capufficio Purcheddu.
“Comodo, comodo, Piscitello!”.
“Ma eccellenza… Ma camerata…”.
“Quale cameratta, Piscitello! Qua siamo fra gente liberra, grazie a
Dio!”.
“Ma… come… il Presidente… il gladio…”. A questo punto, successe
una cosa incredibile.
“Dai, Piscitello! – fece il capufficio Purcheddu – La sento anch’io
radio Samarcanda!” e gli strizzo’ l’occhio. Ora bisogna sapere che il
nostro Piscitello da piu’ d’un anno quasi tutte le sere, chiuso nel
gabinetto, tirava rumorosamente la catenella, e poi accendeva a
bassissimo volume la radio. La radio era assai disturbata, e le parole
“amici italiani buonasera” arrivavano fioche e lontanissime, fra lo
scrosci’o dello sciacquone: ma a Piscitello bastavano per tirare avanti
un altro po’.
Prudenza avrebbe voluto, a quel punto, che Piscitello protestasse
indignato, che giurasse sul sacro nome del Duxe che mai e poi mai… ma
non ne ebbe la forza. Rimase a guardare come un intontito il capufficio
che metteva la mano in tasca, ne cavava alcuni biglietti da un milione
e li deponeva garbatamente sul comodino. “Qua, Piscitello! Ti ho dovuto
sospenderre, lo sai, perche’ altrimenti la loggia… Ma lo stipendio di
questo messe, se permetti, te lo voglio rifonderre io, di tasca mia!”.
Piscitello spalanco’ tanto d’ochi, in un enorme sorriso riconoscente.
Per un quarto d’ora rimasero a parlare di Samarcanda e della misteriosa
voce del Colonnello Santoro, che secondo Purcheddu era piccolo grasso e
coi baffi e secondo Piscitello invece alto, biondo e cogli occhi
azzurri. Improvvisamente: “Perche’ ora basta con questi disfattismi,
Piscitello! – urlo’ il capufficio – La prossima volta, Capo Marrargiu,
altro che un mese!”. Piscitello non ebbe il tempo di impallidire, che
gia’ la signora Assunta, che egli non aveva visto entrare, era uscita,
e gia’ il capufficio aveva nuovamente cambiato espressione (“Allora,
Piscitello: restiamo intesi, eh?”), gli aveva nuovamente strizzato
l’occhio ed era uscito pure lui.
Piscitello non poteva saperlo. Ma la scoperta della democrazia, che in
quei mesi andavano facendo il capufficio Purcheddu e molti altri
italiani importanti come lui, in fondo era tutta una questione di
spaghetti. Da un anno, infatti la MacDonald di Chicago era entrata
pesantemente nel settore spaghetti: spaghetti sintetici, naturalmente
(ottenuti dal disboscamento delle foreste ancora sopravvissute in
Borneo e in Thailandia) ma pur sempre spaghetti: a milione, a
tonnellate, a transatlantici interi. Ora, il mercato degli spaghetti
era in mano da tempo immemorabile di alcune Incorporated italiane, la
Fiat, la Berlusconi e la De Benedetti: nessuna delle quali aveva voluto
dar retta alle pressanti ammonizioni (“il monopolio degli spaghetti non
e’ compatibile con la democrazia”) del Presidente Schwartzkop. Cosi’,
la macchina si era messa in moto. Alcuni esperti scoprirono che tutto
sommato anche l’Italia, con un po’ di buona volonta’, si poteva
considerare parte del Medio Oriente. E il Medio Oriente rientrava,
secondo gli Accordi di Las Vegas del 1997, nella sfera d’influenza
della Mac Donald.
Le truppe americane sbarcarono a Caloria nel marzo 2007. La resistenza
fu minima, perche’ gia’ nelle tre settimane precedenti alcune
operazioni chirurgiche con missili ed elicotteri d’assalto avevano
provveduto a spazzare via Palermo, Torino, Napoli, la parte occidentale
di Genova, sei divisioni italiane e, purtroppo, un rifugio
probabilmente gremito da circa milleseicento orfanelli dell’Opera San
Giovanni di Dio. La Guardia gladiatoria, che aveva giurato di bagnarsi
sul bagnasciuga nel sangue degl’invasori d’Italia, si era semplicemente
dissolta; il Duxe, travestito da soldato americano, era stato catturato
dai partigiani a Milanofiori e fucilato sul posto.
A Caloria, dicevamo, gli americani sbarcarono senza incontrare
difficolta’ alcuna, e nel giro di ventiquattrore avevano gia’
installato un’amministrazione civile funzionante: ne facevano parte
monarchici, vecchi agrari, due capimafia dissidenti, l’ex-segretario
del Pds, Cicciolina, il presidente dell’Usl-35 e il capo della
gioventu’ liberale. Tutti costoro si riunirono, formarono una
Commissione per l’Epurazione, e mandarono a chiamare il gladiatore
scelto Antonio Piscitello. Capo della Commissione era l’ex-capufficio
(ora Capodivisione) Purcheddu.
“Il Piscitello…”, “Quel Piscitello…”, “Il nominato Piscitello…”
si sentiva confusamente enunciare da dietro la porta chiusa della
Commissione. Dopo alcuni minuti la porta si apri’ e Piscitello ne venne
fuori, pallido, a testa bassa, senza una parola. “Ma la prossima volta,
si riccordi – lo insegui’ la voce del Commissario Purcheddu – a Capo
Marraggiu la mando, altro che un mese!”. Se ne torno’ a casa sua,
lentamente, e ando’ difilato a ficcarsi a letto. Il ventinovesimo
giorno, lo venne a trovare il capodivisione Purcheddu…

(ha collaborato Vitaliano Brancati)
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La guerra di Filomena

“Erano tanti i ribelli, che numerose furono anche le fucilazioni, e da
Torino mi scrissero di moderare queste esecuzioni, riducendole ai soli
capi. Ma i miei comandanti di distaccamento, che avevano riconosciuto
la necessita’ dei primi provvedimenti, in certe regioni dove non era
possibile governare se non col terrore, vedendosi arrivare l’ordine di
fucilare soltanto i capi, rispondevano con questa formula: “arrestati,
armi alla mano, nel luogo tale, tre, quattro, cinque capi di briganti”.
E io rispondevo : “Fucilate”. Poco dopo il Fanti, a cui il numero dei
capi parve straordinario, mi invito’ a sospendere le fucilazioni e a
trattenerre prigionieri tutti gli arrestati. Le prigioni e le caserme
rigurgitarono”.

“Io stesso vidi combattere con molto valore nella banda Caruso una
donna con due revolver nelle mani, e affrontare presso Francavilla la
mia cavalleria… “.

1) DE CESARE MICHEL1NA, da Galliano. Di anni ventuno. Contadina.
Uccisa in conflitto il 15/4/1868.
2) VITALE GIUSEPPINA, da Bisaccia. Di anni ventitre’. Catturata il
29/9/1864. Condannata a venti anni di carcere.
3) TITO MARIA GIOVANNA, da Buvo del Monte. Di anni venti.
Contadina. Condannata a quindici anni di carcere.
4) PENNACCHIO FILOMENA, da S.Sossio. DI anni ventitre’ Contadina.
Catturata il 29/9/1864.
5)…

* * *

Filomena, dunque, faceva la contadina. Non sappiamo che cosa facesse –
gli archivi del Regio Esercito non hanno niente in proposito – a
quindici anni; ma possiamo immaginarlo. Nella primavera del
cinquantasei, la contadina Filomena ha scoperto di essere bella. E’ una
cosa strana che i contadini siano belli, ma a quindici anni succede.
Quella primavera, e’ successo a Filomena e a un ragazzo del suo paese,
un riccetto di cui non s’e’ salvato il nome e che percio’ chiameremo, a
capriccio nostro, Giuseppe.

La vita di Pennacchio Filomena e’ praticamente tutta in quei tre o
quattro mesi di quella primavera. Uscire dalla chiesa e sentirsi
guardata. Tornare all’abbeveratoio, la sera, e trovarci – per caso – il
ragazzo Giuseppe. Essere belli insieme, senza averne paura. E scoprire
le cose, trovarle – gli alberi, l’acqua, gli uomini, le strade – pronte
a vivere con noi, avendoci fino a quel momento aspettato. Tutto questo,
e’ durato alcuni mesi. Poi, la seconda scoperta.
Noi non sappiamo dove. Forse, nei cesti di sua madre; o sul viso
dell’amica non di molto piu’ anziana e gia’ sformata; o in quello delle
donne che trascinano ingobbite dei pesi. L’adolescente guarda con
un’attenzione dolorosa cio’ che la vita sa fare. Arriveranno in fretta
anche per lei le rughe, la voce roca, la tristezza del corpo. Sara’
adulta anche lei. E presto anche la voce di Giuseppe si fara’ dura,
senza piu’ tenerezze: la guardera’ di sfuggita, tornando ubriaco di
zappa, e le comandera’ qualcosa. Cosi e’ la vita degli uomini, a San
Sossio – e la gioia, per i poveri, e’ un bottino che dura molto poco.
E’ allora che la ragazza Filomena diventa donna. E’ questa sera che
Giuseppe, stringendola nel buio d’un fossato, non la sentira’ ridere:
la sbircera’ dubbioso senza trovare il suo sguardo. Esitera’ un momento
prima di risentire, solido sotto il suo, il corpo della ragazza; e di
ricominciare a toccarlo, con avida indifferenza. Lontano, una campana
suona l’ora.

Una campana suona. Per le vie del villaggio sfilano silenziosi dei
lancieri. Finestre chiuse, cavalli impolverati: arrivano alla piazza.
Li attende un capannello di civili. Il tenente li ferma, si fruga nella
giubba, sporgendosi di sella tende qualcosa al notaio Livolsi. Il
notaio prende il foglio, lo legge, dice qualcosa all’ufficiale; il
tenente non risponde, alza un braccio – nessuno dei cinque o sei
contadini sui gradini della chiesa ha alzato in tutto questo tempo la
testa – e la pattuglia riparte. Nessun bambino corre dietro ai cavalli.
Appena fuori del paese il lanciere Moroni, ultimo della fila, rallenta
appena il trotto e sputa in un fossato, vicino all’abbeveratoio. E’
bastato a farsi distanziare di qualche metro dal drappello: “E muoviti,
balengo! – soffia il sergente Stardi – Cosa aspetti, boja faus!, i
briganti?”. Moroni arrossisce, e sprona. Ed e’ settembre, settembre
1864.
I mondi sono pieni di bande. Colombo, dei lancieri di Novara, l’hanno
inchiodato ad un albero. Colassi, l’hanno bruciato vivo. Due compagnie
di bersaglieri han vendicato il Colassi. Nell’altro villaggio invece
non s’e’ trovato nessuno: non e’ rimasto che bruciare le case. Dicono
che ci siano anche delle donne, fra i briganti. Ma nessuno le ha viste,
pensa il lanciere guardando la strada. Nessuno? In ognuno di questi
sfottuti paesi, le vediamo. Con quei loro occhi bassi e quella loro
faccia non-so-niente: le puttane! I maschi si capisce: non vogliono
andare soldati, questa e’ la verita’, e allora si danno alla macchia e
fanno i briganti. Ma le donne? Le donne cosa le porta, santiddio, a
fare questa vita?

Filomena non saprebbe rispondere a questa domanda. E’ nascosta da
qualche parte, forse non lontano dai lancieri che sfilano lungo il
margine del bosco, forse anzi li sta osservando – i mantelli azzurri
contro il rosso dei tronchi – e forse proprio in questo momento un uomo
le corre incontro e le tocca una spalla, e lei si volta. Non possiamo
sentire – siamo troppo lontani – cosa dice l’uomo che e’ arrivato
adesso. Ha una faccia tarchiata, da pastore. Indica i soldati ripetendo
qualcosa, poi ride. La donna fa di si’ con la testa. L’uomo si
allontana correndo e un attimo dopo sul roccione e’ rimasta solo la
ragazza. Giu’ in basso i lancieri continuano a sfilare lentamente, le
teste chine, i mantelli sul viso. Moroni si sta ancora chiedendosi cosa
diavolo ci facciano le donne nei briganti e subito dopo – per
associazione d’idee – se per Natale, a Novara, Carolina gli dara’ quel
che le ha chiesto nell’ultima licenza. Dall’alto, Filomena continua a
osservare attentamente i soldati, compreso il lanciere Moroni di cui
pero’ non riesce ad indovinare i pensieri, ne’ le interesserebbe farlo.

“In nomedli Sua Maesta’ Vittorio Emanuele, per grazia di dio e volonta’
della nazione…”.
(Filomena corre giu’ dal costone verso il bosco — Crociatet! Serrare!
— Filomena apre la bocca per urlare — Pronti al comando! Puntat! —
aaaaaah…atttia! – diodiodio non a me non puo’ non… — il fucile fra
le mani di Filomena — un lanciere alza la carabina Filomena e’ quasi
al margine del bosco — il fucile di Morovi spara — Filomena e’ ai
cavalli — Moroni apre la bocca scivola all’indietro sempre a bocca
aperta gridando — Filomena spara).
“Per avere in modo univoco e in concorso con le persone appresso
identificate…”.
(Ora trascina i piedi nel sentiero fra i sassi — salire salire
salvezza la montagna — lancieri a cinquecento metri – solo nove ancora
vivi in banda — salire salire — scia di sangue — la nuca di un
pastore gli occhi di Filomena — un passo un passo un passo Carmine
apre le braccia — Carmine giu’ su un masso ha la testa spaccata —
fumo colpi di fuoco l’azzurro dei bersaglieri — ancora fumo ancora
colpi buio).
“Per questi motivi la corte, visti gli articoli…”.
(Viso di Giuseppe – viso di donna anziana – interno di cucina, fumo –
il funo degli spari – fumo della cucina, madre di Filomena – veste
azzurra coi fiori – galline – vecchio schienapiegata suo padre – occhi
stretti giovane contadino – chiesa la domenica mattina – chi sta
urlando? – il sole il sole il sole uscendo nella piazza – il viso di
Giuseppe – la montagna – i soldati).
“Alla pena di anni diciotto e mesi sei…”.
(Il sole – il sole a mezzogiorno la montagna – troppo troppo pesanti
scarponi militari – la bocca d’un soldato che scivola da cavallo – il
viso di un ragazzo ma qualcuno sta urlando – e un soldato e gli
occhiali – occhiali in faccia a quell’uomo – parla parla parla – e
lontano sta urlando – e ancora un viso e vicino all’abbeveratoio e la
sera – la sera).
“La sunnominata Pennacchio Filomena…”.
(Braccia che la tirano via – chi sta urlando? – braccia delle guardie
portano via i pastori – chi sta urlando? – guardie trascinano via i
contadini le braccia delle guardie sulla faccia di Filomena – facce
terrose facce di pietra contadini – nessuna voce nell’aula soltanto –
l’urlo di Filomena sempre piu’ via).

Adesso non riusciamo piu’ a tradurre i pensieri di Filomena, neppure
approssimativamente (ormai non ci sono, del resto, dei pensieri
completi: ma singole parole dialettali, e immagini; e molto tempo e’
passato).
Ci sembra d’intuirvi – o desiderarvi – una luce; molto sfocata
tuttavia, e sempre piu’ occasionale. Forse ci sono anche dei visi,
dissolti uno sull’altro (un video disturbato); ma per brevissimi
istanti.
Normalmente, c’e’ un respiro regolare e quello che e’ sicuramente – per
quanto qui possa sembrare strano – un sorriso. Ed e’ per noi gia’
autunno, autunno milleottocentosettantasei.
La luce piove serenamente, adesso, sui camerone rettangolare. E’
l’ultima della giornata: le donne si raggrumano – a due a due, a tre a
tre, contandosi remotissimi pettegolezzi – in questa o in quella
chiazza che scivola dai finestroni sbarrati. Filomena sorride. Il
contadino Carmine sul masso con la testa spaccata, il ragazzo Giuseppe
che vive e adesso avra’ quarant’anni. Filomena sorride. L’aula del
tribunale di Vallo, le file dei pastori in catene… E gia’ nel porto
di Napoli ha fischiato una sirena e gia’ contadini e pastori salgono
goffamente il barcarizzo. Tanta acqua, san Sossio… E non c’e’ piu’
briganti, e non c’e’ piu’ la guerra: per la madonna! l’america, quella
sola rimane. Nessuno ha chiesto grazia, e nessuno e’ pentito: ma la
montagna e’ povera, e il Re ha troppi soldati. Cosi’, guardarsi
indietro l’ultima volta, e salire.
(E nel camerone, da sola, una donna rugosa sorride. Sorride? Chi lo sa
se e’ la sua america, e forse col Giuseppe; lei sorride).
Ciao, Filomena.
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Millenovecentoquarantotto

Davanti alla chiesa ci sono le spade
le hanno messe i re antichi
nella piazza di sole la domenica
i vecchi guardano vivere.

La citta’ sta sola sulle montagne
manda lontano polvere per le trazzere
alle stelle dell’alba escono i contadini
ritornano con l’ombra delle colline a sera.

E quando e’ uscita per la prima volta
(una stoffa sbiadita su una canna)
noi guardavamo dietro la finestra
lui che parlava
e i suoi compagni attorno.

Davanti alla chiesa ci sono le spade
le hanno messe i re antichi
nella piazza di sole il comizio
noi guardavamo dietro le finestre.

La citta’ sta sola sulla montagna
sulle trazzere navigano greggi
compagni la gabella non l’ha messa dio
l’ha inventata un uomo.

E quando l’hanno trovato nel burrone
(le mosche gli mangiavano la faccia)
noi guardavamo dietro le finestre
si guardavano attorno
quelli che l’hanno ammazzato.