Treno di notte. Il giovane sulla trentina, con barba corta e chitarra, di mestiere è suonatore ambulante e chiede l’elemosina per le strade. È qui perchè gli hanno dato il foglio di via e il controllore gli compila accuratamente una serie di moduli che dovranno servire a farlo arrivare gratis fino a casa sua, in provincia di Milano. Quello che è entrato subito dopo, il biondino, è un ragazzo rumeno di diciott’anni. È stato un mese in vacanza (in realtà, lavorando in una trattoria) a Roma e adesso sta tornando a Milano. Lavora in un ristorante, da quasi un anno. Il padrone è un brav’uomo però si lavora dieci ore al giorno, un milione e mezzo al mese. Parla benissimo l’italiano, sorride con fiducia ai compagni di viaggio e racconta terrificanti peripezie con un sorriso mite.
Il terzo, il pakistano, è salito per ultimo; parla male l’italiano, benissimo l’inglese, ha un orecchino pesante al lobo sinistro che, coi capelli neri lisci e i tratti pesanti del viso ne fa una comparsa di qualche libro di Salgari. Ha un’aria ironica, da uomo vissuto. Lavora a Malpensa, nel più moderno aeroporto d’Europa. Il suo lavoro a quanto sembra consiste nel trovarsi allo scarico la mattina presto: se c’è lavoro lo prendono, se no domani. Questo meccanismo è reso legale da una serie di cooperative in subappalto. Guadagna due milioni al mese ed è contento del suo lavoro. Conosce uno, a Milano, che potrebbe trovarne uno uguale anche al ragazzo rumeno – due milioni sono meglio di uno e mezzo – che certo non può continuare a fare il cameriere a dieci ore al giorno tutta la vita.
Il rumeno ha fatto due anni di superiori, al suo Paese, poi è partito. Ha un viso chiaro e assai bello, con una grande aureola di capelli; ne fanno un uomo la bocca stretta e precisa, anche quando sorride, e le mani grandissime, da contadino.
Dopo Orte, si spegne la luce dello scompartimento – un espresso notturno coi sedili graffiati – e il giovanotto lombardo, che ha partecipato pochissimo alla conversazione, chiuso in una sua tranquilla – ma non ostile – dignità, sporgendosi solo ogni tanto per chiedere o per offrire sigarette, adesso s’è addormentato per primo: dorme rannicchiato sul suo sedile, senza stirare le gambe, e tiene la chitarra stretta al petto. Ha un viso molto corroso, da sconfitto. A volte però, al passaggio delle stazioni, la luce lo prende un attimo nel profilo, che è severo e nobile, viceversa, composto e rilassato nel dormire.
Pakistano e rumeno si scambiano gl’indirizzi e i telefonini (il vagabondo è l’unico a non averne); il ragazzo ha fatto un’infinità di domande sugli aeroporti, sui contratti dei camerieri, sui corsi di computer, sul liceo in Italia e quello in Romania, sul mare in Sicilia, sulle ragazze di Roma, sul tempo che ci vuole per diplomarsi lavorando se si trovasse un lavoro di sette ore, sugli italiani che a volte sembrano quasi non voler bene agli stranieri. Io l’ho rassicurato su tutti i punti: sull’ultimo in particolare, guarda me che son siciliano, una volta neanche noi siciliani ci potevano vedere su a Torino, vedessi ora invece. Lui ha sorriso con entusiasmo a tutte le mie risposte, con fiducia totale. Infine si è addormentato, con la luce a spazzi che faceva caravaggiate sul volto da ragazzino e il corpo da lavoratore.
Il pakistano è rimasto sveglio, il suo italiano era altrettanto pessimo del mio inglese e quindi siamo rimasti a scambiarci dei “tu non pensi?” e degli “ok” fino a Bologna, con la punta rossa della sigaretta che ballonzolava nel buio, la sagoma del milanese abbracciato alla sua chitarra nell’ombra e il ragazzino che, da Firenze in poi, aveva cominciato fiduciosamente a ronfare. Il treno andava, e ‘Italia da qualche parte attorno a noi.
Milano. Il ghisa che ci spiega cortesemente dov’è via Camperio, col suo casco vittoriano e i suoi guanti d’ordinanza, alla fine si congeda con un secco e lieve inchino della testa, lasciandoci il desiderio di fermarne un altro per chiedergli di via Armorari, di via De Marchi, di via Albricci al solo scopo di rigodere quel bel gesto civile, da Milano. Ma pochi metri più oltre, purtroppo, c’è un’altra coppia di vigili con occhiali neri, berrettuccio da baseball e la scritta Polizia Metropolitana (Sity Polis?) sul berretto.
Profilo basso per la politica, dopo le elezioni. Qualche pettegolezzo sulle poltrone, qualche garbata richiesta di ministeri; qualche conversione, molte adulazioni.
Profilo altissimo, invece, sul piano della società concreta. A destra, gl’industriali presentano ultimatum precisi; il sindacato prepara scioperi per l’autunno. Di fatto, i veri interlocutori di Berlusconi sono Agnelli e D’Amato, non i politici come Fini, Casini e Bossi. A costoro non resta che appellarsi alla generosità dell’alleato, il quale ha vinto sugli avversari ma anche (e forse soprattutto) su di loro; ma quanto a capacità di pressione, sono vicini a zero.
E la sinistra? L’unico partito che reagisce, nell’afa generale, è il sindacato. Nessuno osa più sostenere seriamente un ritorno di D’Alema o di Veltroni; le manovre di scalzamento reciproco, nel partito, procedono as usual, ma fiaccamente. Il nome più rispettato, fra sottufficiali e subalterni, è Cofferati.
La politica del paese, in altri termini, è arrivata all’osso. Non più guerricciole di Vip, nè dibattiti alati. Diesse contro Forza Italia? No: confindustria contro sindacati. Due schieramenti sociali, due “classi”: preciso come negli anni Cinquanta. Si sta anche delineando una distinzione e forse un abbozzo di ostilità fra “destra” classicamente intesa e culto populistico del capo, in cui si rifugiano le speranze di coloro che, troppo poveri per ragionare, lo sono tuttavia abbastanza da non accettare l’esistente; fascismo e mussolinismo, per intenderci, negli anni Venti. Le marette di questi giorni, fra i vincitori, hanno anche questo versante serio, non solo quello italianissimo della lite sulle poltrone.
Va bene: siamo usciti da Weimar, e vedremo cosa verrà adesso. Il problema più serio, e anzi l’unico davvero serio, è che, dopo decenni di beata incoscienza e d’ignoranza, a noi della sinistra resta forse abbastanza istinto da capire che c’è uno scontro di classi; ma non abbastanza razionalità, e attitudine allo studio, alla raccolta dei dati, alla politica vera, da capire quali possano mai essere le classi oggi, e da che cosa determinate. I programatori Linux, i gay, i pony express, i ragazzini, i pensionati toscani, le veline… Da troppo tempo ci siamo abituati a trattare gli esseri umani in che popolano questa concreta società in termini di folklore o di spot, non di analisi delle interazioni collettive.
Agnelli. Peccato, finire in kitsch dopo tanti anni. Un po’ per stile suo e moltissimo per bonomia popolare, era riuscito a costruirsi l’immagine di un signore e non di un qualunque costruttore di pessime automobili coi soldi dello stato.
Consigli al signor B. Ne arrivano moltissimi. I più belli della settimana sono quelli di Colaninno (attento ai sindacati) e di Rondolino (elenco di giornalisti giacobini ma in fondo brave persone, e dunque da risparmiare).
L’ultimo polpettone di guerra americano, Pearl Harbour, resterà nella storia del cinema per due motivi: la meravigliosa scena in cui il presidente Roosevelt (che in realtà era paralizzato) scatta in piedi all’annuncio dell’attacco giapponese; i numerosi tagli apportati alle versioni tedesca e giapponese del film, presentato in contemporanea in tutto il mondo, allo scopo di facilitare la diffusione sui rispettivi mercati nazionali.
(Che fa fare la globalizzazione: ai tempi di John Wayne i giapponesi erano senz’altro “quei maledetti musi gialli” e i tedeschi dicevano “Io folere konkuistare mondo, ach!”. Adesso non si può più).
Maestri. Su www.fantasydeathrow.com potete scommettere online su chi arriverà primo alla prossima esecuzione. Si accettano vincenti e piazzati. Si accettano scommesse anche sul tipo di esecuzione, sulle eventuali amnistie e revisioni, ecc. Gadget per i vincitori: un viaggio in Texas (premio principale) e altri premi minori. Incredibilmente, questa notizia non me la sono inventata io.
Allievi. In Afganistan, i talebani hanno fatto una legge per imporre un apposito distintivo giallo a tutti i cittadini che appartengono alla religione di minoranza, in questo caso induista. Il distintivo serve alle autorità per individuarli rapidamente e ai cittadini “normali” per sapere come regolarsi con loro. Il governo assicura che il distintivo non ha carattere persecutorio e che non sono previste altre misure. La stampa internazionale, dopo una prima sorpresa, ha rapidamente lasciato cadere il caso; diversi governi democratici, e diverse multinazionali, collaborano tranquillamentre coi talebani.
Cronaca. Roma. Migliorano le condizioni del commerciante ugandese ferito a colpi di pistola, nel tentativo di rapinarlo, da due pregiudicati italiani.
Cronaca. Prato. L’amministrazione di sinistra ha fatto togliere le nuove panchine dalla recentemente ristrutturata piazza Duomo. I commercianti della zona si erano lamentati perchè le panchine venivano impiegate dagli emigranti come luogo di ritrovo.
Cronaca. Anzio. Commessa sedicenne violentata nella toilette dal padrone del bar. Davanti ai carabinieri, l’uomo si è giustificato: “Che male ho fatto? Solo un bacio! Eppoi, era una mia dipendente!”.
Cronaca. Catania. Il Comune ha deciso di cacciare i centoquaranta ragazzi della “Pro Famiglia” di padre Pignataro: è un’istituzione che da varie decine di anni racoglie minorenni dei quartieri pù poveri per dar loro un po’ di svago e un’istruzione. Il terreno su cui sorge, però, adesso al Comune serve per tirarci su un paio di alberghi da privatizzare. “Noi da qui non ce ne andiamo” dice il prete. Ma le ruspe arriverano fra poco.
Cronaca. Roma. Alla fermata S.Paolo un giovane di ventidue anni, vestito da naziskin, ha improvvisamente aggredito una studentessa di sedici anni che stava aspettando il metrò e l’ha picchiata violentemente, dandosi poi alla fuga. Fermato due giorni dopo, ha detto che si era accorto che la ragazzina aveva una falcemartello disegnata sullo zainetto.
Cronaca (o anche inizio di una sceneggiatura). “70enne cerca amica con tempo libero nel pomeriggio. Scrivere Fermo Posta Cordusio MI 20123”.
Persone. Pensando ad Alessandro Natta, l’ultimo segretario della sinistra italiana, mi veniva in mente tutta quell’Italia ligure-piemontese – Cavour, Togliatti, Cesare Pavese, De Andrè, Italo Calvino… – di vita sobria e di tranquilla autoironia, unica in questo paese latino a non possedere il cromosoma del bel gesto drammatico e dell’uomo vincente che accomuna invece profondamente milanesi e Sicilia, Nordest profondo e Roma.
(Chissà cosa saremmo, pensavo ancora, se Lutero si fosse sgomitato fin qui: cosa un protestantesimo avrebbe potuto fare di noi italiani? Domanda da giardinetti, naturalmente; e domanda idiota. Perchè l’unica cosa certa, di questo incerto paese, è che è un paese cattolico; cui resta solo da definire, nelle varie fasi, che forma questo cattolicesimo assumerà di volta in volta, e con che condimento).
Sventurati i paesi che hanno bisogno di Falcone.
Alceo alkaios@eleutheros.el > wrote:
Bevi vino, rinfrescati: la stella
d’estate tornò in cielo e lo scirocco
calò pesante e regna su ogni cosa la sete.
Piano dentro i cespugli vibra il canto
della cicala, ininterrottamente,
e il sole è fermo e tutto si dissecca
sotto il suo fuoco e già fiorisce il cardo.
E brucia il ventre delle donne e lenta
muore la voglia ai maschi e le ginocchia
si sciolgono e i pensieri sotto il sole.