San Libero – 84

L’altra volta era il 12 marzo del 77. Un movimento giovanile di massa in formazione, con un sacco di idee nebulose ma nel complesso razionali, e pochissima propensione alla violenza: centomila ragazzi in corteo, e d’improvviso – contemporaneamente – gli autonomi insurrezionalisti (o come si chiamavano allora) si staccano dal corteo e cominciano a spaccare, la polizia carica la parte inerme del corteo e quelli della terza colonna, travestiti da autonomi, cominciano a sparare. Tano D’Amico, allora, li immortalò nelle sue foto col corpo piegato per mirare meglio nel gesto classico della pitrentotto, e le facce che risultarono essere di agenti dei servizi speciali (la questura di Roma giurò di non conoscerli, poi, e forse aveva ragione: in cima alla piramide, a quel tempo, ci stava uno specialista di Gladio e delle forze speciali). Una ragazza uccisa – Giorgiana Masi – di cui nessuno si ricorda più. Se andate a Ponte Garibaldi, dal lato di Trastevere, trovate ancora la scritta messa allora dai compagni. Una scritta tenera e lieve, che parla di primavere e di sogni sfioriti: perché questo erano i ragazzi del settantasette prima di quella mattina, degli adolescenti e dei giovani che volevano – giustamente – cambiare il mondo.
Il movimento del settantasette – e del settantotto, del settantanove, dell’ottanta, tutto ciò che stava per essere e non fu mai – morì quel giorno, sotto le bocce degli autonomi e le revolverate delle squadre speciali. Sei mesi dopo, si era già dissolto nella risposta violenta e nel rancore, ormai incancrenito e del tutto incapacitato a volare. Un anno dopo, nessuno se ne ricordava più tranne chi proprio era stato in piazza, e gli uffici politici delle questure.
Così è finita la speranza di una generazione.
(Per quella precedente, la mia, quella del sessantotto, di tempo ce n’ era voluto molto di più, e c’erano voluti più mezzi: le bombe, le stragi, il terrorismo selvaggio di cui, dopo trent’anni, i giudici solo ora hanno avuto il coraggio di parlare. La nostra giovinezza la spensero con le bombe di piazza Fontana).

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Stavolta però è andata diversa. I compagni non ci sono cascati, stavolta. Lo scenario, era il solito: quelli con le spranghe e quelli con le pistole, le provocazioni a freddo e le revolverate. Però il movimento è rimasto lucido, ha pagato un prezzo altissimo per questo però – e a livello di massa – ha continuato a ragionare. Non s’è messo a spaccare vetrine, non è scappato. È stato lì, cento o duecentomila compagni ragionevoli e determinati. Ha superato lo scoglio su cui l’altra volta era affondato. E adesso va avanti.

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A nessuno interessa niente, naturalmente (di quelli che fanno “comunicazione”) cosa c’è veramente dentro un movimento. Basta qualche bella foto di ragazze e ragazzi, e un po’ di folklore. Ma il movimento arrivato a Genova era cresciuto negli ultimi due anni con una ricchezza densissima, d’idee e di sentimenti e di discussioni, paragonabile soltanto ai mesi più creativi del sessantotto. A questa ricchezza si aggiunge, e forse è l’elemento decisivo, una disponibilità tecnologica che prima non c’era, e che oggi permette collegamenti veloci e fitti, diffusione delle informazioni dal movimento a tutta la società, sviluppo di una forma mentis pragmatica e sana e non inscatolata in ideologie.
Poca esperienza storica, poca “politica” tecnica, niente partito: ma un’apertura a tutti, una curiosità infantile e geniale, una fiducia in sé stessi e nella forza della ragione: “il cuore, che è rimasto giovane, si solleva commosso” – non è una frase mia, m’è scappata. Questo movimento non ha avuto paura di essere diverso e diviso, di avere i centri sociali e i preti; non è stato autoritario, non è stato maschilista; s’è basato ingenuamente su cose semplici che tutti abbiamo dentro. Adesso ha superato la prova più dura, quella che avrebbe potuto cambiargli il cuore. Centinaia di feriti, centinaia di fermati: ma ha tenuto, ed è uscito da Genova restando sé medesimo, continuando ad essere esattamente quello di prima. Avanza non come un gruppetto impaurito e che vuol fare paura; ma come un Quarto Stato.

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Di quelli che stavano là dentro, e per cui tanto tragedia s’è consumata, e che erano in otto, sei erano regolarmente eletti dalle rispettive popolazioni (in un caso, con un prevalenza mediatica tale da influire non poco sulla libertà del suffraggio); due – e i più importanti – non lo erano affatto, e si erano nominati da sé stessi. Né Bush né Putin (il primo proclamato dalla Corte Suprema troncando il conteggio dei voti, il secondo sommariamente designato da Eltsin e plebiscitato alla men peggio) sono infatti dei governanti democraticamente eletti. Il primo proclamato d’autorità, a scrutini in corso, da un magistrato amico; il secondo designato da Eltsin, in cambio dell’impunità, e plebiscitato alla meglio, profforma, appena ce n’è stato il tempo. Dieci anni fa, il loro titolo di legittimità avrebbe suscitato dubbi non tanto sommessi a Londra, a Roma e a Berlino. Oggi, si preferisce dimenticare.
Il movimento anti-G8 ha avuto, tutto sommato, la buona immagine di cui gode anche perché difende componenti essenziali – la democrazia parlamentare – della nostra civiltà che i cittadini educati tradizionalmente rimpiangono con tutto il cuore, e che tutti sentono superate dai comportamenti e dallo stile di vita del nuovo potere. Tanto Putin quanto Bush, in effetti, più che leader politici tradizionali sono creature degli apparati di controllo. Direttamente nel caso di Putin, che era del Kgb; indirettamente in quello di Bush, il cui padre era direttore generale della Cia.

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Gli otto irresponsabili dentro e i quattro o cinquecento irresponsabili fuori hanno in comune questo, di vivere in un loro mondo autoreferenziale. Nessuno penetra in esso, se non trasformato in simbolismi e in sogni. I matti di fuori hanno molte attenuanti, quelle dei poveri o dei ragazzi. I matti di dentro non ne hanno alcuna.

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Rapporto riservato del Viminale (Pagina 34, capitolo “segnalazioni di particolare interesse”). “In particolare è stato segnalato che alcuni membri torinesi di Forza Nuova, costituirebbero un nucleo di 25- 30 militanti fidati da infiltrare tra i gruppi delle Tute bianche allo scopo di confondersi tra i manifestanti anti G8. Tale gruppo, in possesso di armi da taglio, avrebbe come obiettivo principale colpire, nel caso in cui si dovessero verificare incidenti, i rappresentanti delle forze dell’ordine, screditando contestualmente l’area antagonista di sinistra anti G8”.

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Il ragazzo che è morto non sarà l’ultimo, perché adesso il potere – che ora ha ragione di cominciare ad aver paura: non perché alcuni hanno rotto le vetrine, ma perché i più, consapevolmente, non ne hanno rotte – ricomincerà a macinare. Ci saranno altre violenze, ci saranno altre provocazioni, dei nuovi strani gruppi nasceranno (nessuno conoscendone l’origine) in aggiunta a quelli che già ci sono ora. Deja-vu. Servirà a poco perché questa generazione, a differenza di altre, ha preso la strada dritta della lotta di massa, civile, democratica e condivisibile, e non delle fantasie d'”insurrezionali”. Ma è bene saperlo: saranno anni duri.
Riusciremo ad attraversarli se non ci faremo prendere nemmeno per un attimo dalle tentazioni di status, di facciamo-un-partito, di leaderismo individuale su cui sono finiti a culo a terra tutti gli altri movimenti; e se anche nelle situazioni più difficili, invece di giocare di reazione sulle mosse dell’avversario, riusciremo a valutare razionalmente e umanamente, come a Genova, le mosse da fare all’ interno di una strategia amichevole e lunga.


Documenti. Alle radici del nuovo movimento. Cosa dicevano dieci anni fa

La cosa più interessante dei nuovi movimenti è probabilmente l’ eterogeneità delle sue componenti, dai cattolici impegnati nel Terzo Mondo ai vecchi centri sociali, con tutte le sfumature intermedie ma con una coesione che – si direbbe – ha retto e non dà segni di disgregazione. Da dove nasce questa strana alleanza? Quando esattamente gli eredi del sessantotto hanno cominciato a rompere la gabbia delle ideologie? Questo documento, del luglio 91, è il primo in cui centri sociali e gruppi della società civile hanno cominciato a ipotizzare un percorso comune. Notare l’estrema articolazione (geografica e politica) delle sigle e l’attenzione posta ai temi della lotta antimafia e del primo Mani Pulite, visti come un nucleo “politico” (che poi s’intreccerà con altri temi: l’ecologia, la globalizzazione) da cui partire per una trasformazione “morbida” della società.
Sabato 11 luglio, a Roma, ci siamo incontrati cinquanta gruppi giovanili di base provenienti da tutta Italia. Associazioni cattoliche, centri sociali autogestiti, gruppi di volontariato, nuclei d’immigrati: c’era di tutto. Storie molto diverse fra loro, con quasi nulla in comune salvo il fatto di essere tutti impegnati in prima persona e senza mediazioni “politiche” per cambiare ognuno il proprio angolo di società.
è stata una giornata molto bella. Ciascuno dei ragazzi che sono intervenuti (e sono intervenuti tutti) aveva una sua esperienza da raccontare: quelli di Aversa l’assistenza agli immigrati, quelli di Capaci la conquista di una spiaggia libera in un paesino in cui tutte le spiagge sono a pagamento, quelli del Corto Circuito il lavoro che fanno nel loro quartiere, quelli di Catania il doposcuola organizzato coi ragazzini del quartiere “di mafia”, e così via. Tutti s’incontravano per la prima volta ma c’era un’atmosfera di grande fiducia reciproca, di molto lavoro serio da fare insieme. Nessuno aveva in mente, naturalmente, di fare il centesimo gruppo/partito/partitino. Ma tutti si rendevano conto che un collegamento fra tutte queste situazioni male non ne farebbe.
Così sono venute a galla alcune idee. Intanto, di stabilire questo collegamento sotto forma di agende, di giri di telefonate ecc., senza nessuna ufficialità. Vedere se questo collegamento può avere bisogno di una specie di foglio da fare e far girare nelle varie situazioni. Poi, di stabilire delle iniziative da fare insieme in autunno. Quali iniziative? Bisognerà definirle tutti insieme. Intanto, però, alcuni punti su cui riflettere, quelli che eravamo all’incontro, siamo riusciti a stabilirli:
– Quelli che venivano dalla Sicilia hanno parlato di mafia e antimafia. Non è, hanno spiegato, una faccenda di polizia. È una faccenda che riguarda tutta la gente e che può essere affrontata solo se il movimento antimafia diventa nazionale e riesce a togliere dalla scena i politici e i cavalieri mafiosi. Questo significa meno Maurizio Costanzo Show e più organizzazione di base contro i potenti mafiosi.
– La faccenda di Di Pietro e delle tangenti. Chi deve “fare pulizia”, oltre ai giudici? I personaggi perbene oppure i semplici cittadini che pagano per tutti e non vengono mai consultati? Ci piace “viva Di Pietro”, ma non dev’essere una cosa da spettacolo: dev’essere un movimento serio, di gente di base, che si colleghi fraternamente con coloro che contemporaneamente lottano contro la mafia a sud. Tangentisti e mafiosi, tutti insieme.
– Il mestiere più diffuso in Italia è ancora l’operaio. L’operaio, e in genere quello che vive di stipendio, a dicembre si vedrà portar via mezza tredicesima, per pagare le tasse dell'”emergenza” (lasciamo perdere l’aumento delle tasse all’università). Questo è profondamente immorale. La lotta contro il potere mafioso e contro le tangenti non deve significare “paga Pantalone”. Diritti e doveri, tutti uguali. Non ci dimentichiamo degli operai.
Tutto qui. Non abbiamo moltissime idee, come vedete, non siamo i maestri di nessuno. Però vogliamo discuterle, unirle con le idee degli altri, mettere in moto un processo. Con umiltà e pazienza, ma anche con moltissima fiducia e determinazione.
Chiediamo a tutti, ma soprattutto a tutti i gruppi, di qualsiasi tipo, che fanno una qualunque attività di base, di contribuire a questo processo. Di portare ognuno la propria esperienza, le proprie idee, con altrettanta fiducia, con altrettanta serietà.
NON vogliamo fare un partito! Ma vogliamo smetterla di essere delle isole ognuna per sé. Non c’è niente, profondamente, che ci divide. Dobbiamo solo imparare a rispettarci reciprocamente, a parlare con persone diverse da noi, a lavorare insieme.

Centro sociale Corto Circuito, Roma; Il pane e le mele, mensile dei giovani di Napoli; Seminario Società, Università di Palermo; Gridalo Forte, Roma; Abc Musicanti di Brema; Centro sociale Cecchina; Lega per il diritto al lavoro degli handicappati, Roma; gruppo rock Drago e i Coyotes, Roma; Centro sociale Brancaleone, Roma; Zero95, mensile dei giovani antimafiosi, Catania; Centro sociale Auro, Catania; Associazione anticamorra I Care, Napoli; Dipingi la Pace, Palermo; Laurentinoccupato, Roma ; Ti Con Zero, collettivo degli studenti di fisica, Palermo; La Spiaggia, collettivo di Sciacca; C’era una volta una terra libera, studenti di scienze politiche, Padova; Teatro Movimento ’90, Roma; Associazione Il Fortino, San Felice Circeo; Associazione Movida, Napoli; Centro sociale Auro e Marco, Spinaceto Roma; Collettivo comunista universitario, Roma; Federazione democratica, Milazzo; Circolo Robert Owen, San Giorgio Ionico; Movi, movimento volontariato, Napoli; Pensionati occupati Politecnico e Statale, Milano; Collettivo politico San Leonardo, Milano; Gruppo Giovanile ’88, Capaci; Collettivo Il Graffio, Torino; Associazione Senza Confine, Roma; Lega Obiettori Di Coscienza, Napoli; Laboratorio Antimafia, Milano; Centro sociale Officina 99, Napoli; Associazione La Mongolfiera, Catanzaro; Centro socioculturale Garbatella, Roma; Circolo Mare Aperto Roma; Centro assistenza extracomunitari La Roccia, Aversa; Associazione italiana paraplegici, Roma; Conosud, cooperazione nord- sud, Taranto; Movimento volontariato, Salerno; Uawa, Union Asiatic Workers Association, Roma; Comitato per la difesa di Villa Pamphili, Roma; Nero E Non Solo, Caserta; Associazione studenti Charlie Brown, Taurianova; Giovani Oltre Limite, Gela; Cordinamento antimafia, Palermo


Ma perché Cosa Nostra non è stata invitata al G8? Eppure ha ormai ormai raggiunto un livello finanziario tale da potere trattare da pari a pari con chiunque. È l’opinione di Giorgio Bongiovanni, direttore di “Antimafia”, rivista specializzata sullo studio dei poteri illegali in Italia nel mondo. Anticipiamo di seguito il suo Rapporto mafia in Italia 2001.

Anno Domini 2001: Rapporto mafia in Italia.

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Tutto tace, nessun morto per le strade, nessuna sparatoria, a parte qualche ordinario regolamento di conti. Parlano di mafia invisibile i procuratori in trincea. Siedono al nostro governo, nel frattempo, uomini dal passato e presente discutibili, inquisiti per corruzione e reati affini alla collusione mafiosa. Non escluso nemmeno il presidente del Consiglio, sospettato, addirittura, assieme al suo braccio destro, di aver svolto un ruolo nelle stragi in cui hanno perso la vita due martiri della nostra giustizia. Indagini per cui i pubblici ministeri di Caltanissetta hanno chiesto l’archiviazione, ma un’altra procura prosegue nel medesimo lavoro.
L’opinione pubblica si gode le vacanze tranquilla che mafia c’è, ma è lontana e soprattutto non disturba se non esagera. Politici collusi, colpevoli politicamente, vengono assolti. Ma del loro tradimento le prove ci sono e sono scritte anche nelle motivazioni di innocenza. Individui che si sono arricchiti alle spalle di un paese che vive nel divario sproporzionato che va dalla ricchezza più ostentata alla povertà di villaggi siciliani in cui ancora non arriva l’acqua. Di questo sono colpevoli e il nostro giudizio politico, quello dei cittadini, è insindacabile.
Non rimane che gridare nel deserto, raggruppare quei pochi che si identificano in ciò che resta della società civile e opporre resistenza con tutti i mezzi, sebbene pochi, a disposizione. E mentre gli otto paesi più ricchi del mondo si riuniscono in Italia a decidere il futuro di tutto il pianeta, muovendo le loro pedine in base ad una politica disumana che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, i grandi latitanti di Cosa Nostra dal vecchio fantasma Provenzano, imprendibile da 40 anni, al giovane e temuto Matteo Messina Denaro, introvabile da dieci, lavorano per perfezionare il lancio della loro Cosa Nostra nel terzo millennio.
Qual è il vero scopo di tutto questo? Probabilmente la Sicilia di quei cittadini onesti e dei mafiosi che hanno votato il Presidente Berlusconi, che senza quell’adesione totale difficilmente avrebbe potuto vincere, diverrà porto franco. Un’oasi in cui quasi un miliardo di persone potrà svolgere tutti gli affari che preferisce, in tutta tranquillità.
A questo mira Provenzano, a questo aspirano ‘Ndrangheta e Camorra con il tacito consenso delle potenze dagli Stati Uniti all’Europa e fino alla Russia. La Sicilia sarà probabilmente porto franco entro il gennaio del 2010. Sarà per orgoglio o per follia, ma è proprio la Sicilia la terra in cui si decidono molte sorti, in questa amata terra; triangolo misterioso e straordinario, terra di miracoli, di gente onesta e di eroi, e terra malata, affetta da un cancro che non è più fatto solo di coppola, lupara, uomini d’onore, capi famiglia, capi mandamento, capi decina e Cupola.
Cosa Nostra è tanto ricca e potente da sedere al tavolo nella stanza dei bottoni. Se una volta soddisfaceva richieste oggi partecipa alle decisioni. Fino a quando reggerà questo equilibrio stabilito il 23 maggio 1992 e siglato il 19 luglio 1992, sentiremo solo il rumore del silenzio. Ma se qualcuno scomodo metterà in crisi il patto, allora piangeremo di nuovo i nostri martiri. Fino a quando?

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Beppe Sini wrote:

Questa è la nonviolenza: la scelta e la lotta che a tutti richiede, ed a tutti consente, di partecipare a decidere e ad agire; la scelta e la lotta che si contrappone radicalmente al militarismo, al maschilismo, all’autoritarismo, alla sopraffazione dell’altro; la scelta e la lotta che è insieme conflitto e cooperazione, comunicazione e apertura, ascolto dell’altro e ricerca comune, rigore morale e intellettuale, presa di coscienza e solidarietà, principio responsabilità.
Sono dieci anni che Rosanna ci ha lasciato; ed anche quel suo strumento privilegiato di lotta, la rivista da lei fondata “Gli altri. Periodico di tutti gli emarginati della società”, col fascicolo dello scorso dicembre ha cessato dopo venticinque anni le pubblicazioni (ma resta l'”Associazione gli altri” – per informazioni e contatti: www.glialtri.it – che la lotta e la riflessione e l’eredità di affetti e convincimenti di Rosanna prosegue). Rosanna è più viva e presente che mai, ne sento la voce e ne vedo il volto nel movimento che ovunque, ovunque, ovunque si oppone al disordine costituito.>


Quando non avrà più

Quando non avrà più
le care labbra e le dolcissime spiagge
Quando l'isola viola all'orizzonte
non più sarà con lui e la luce del mare
Se lieve scorrerà per voi fra i ciottoli
la marea del crepuscolo, pensate
pensate che è stato per amore