San Libero – 87

“John Brown’s body…”. Rimandata a settembre la legge contro gli emigranti. La legge, che si chiamerà legge Bossi-Fini, prevede varie angherie contro i lavoratori stranieri e non è solo una legge sbagliata ma, per un antico popolo di emigranti come il nostro, vergognosa.
Quando questa legge verrà approvata, sarà dovere di tutti gli italiani degni di questo nome non solo non accettarla, ma anche boicottarla in ogni modo. Nell’ottocento, in America, coloro che si opponevano alla schiavitù (poiché nell’ottocento in America c’era ancora la schiavitù) non si limitarono a prendere posizione in astratto, ma organizzarono una vera e propria “freedom railway” che era una rete più o meno clandestina di contatti, di percorsi protetti, di case sicure attraverso la quale venivano fatti viaggiare gli schiavi in fuga, che la legge di quel momento perseguitava. Alcuni di loro (per esempio John Brown) pagarono molto cara questa scelta.
Essi facevano questo per solidarietà con gli schiavi ma anche e forse soprattutto per amore del loro Paese, che non fosse disonorato da una legge iniqua e vile. Adesso, se la legge passerà (ma passerà: è il cuore del regime), toccherà a tutti noi testimoniare coi fatti quanto vogliamo bene all’Italia e quanto abbiamo a cuore il suo onore.
(Da segnalare: fra i nostri avversari, due si sono battuti contro la legge. Uno è il democristiano Casini, l’altro il fascista Tremaglia. Quest’ultimo, nonostante gli ordini dei suoi capi, ha dichiarato pubblicamente di opporsi alla legge e questa dichiarazione ha scelto di farla a arcinelle in Belgio, dove nel ’56 più di cento emigranti italiani persero la vita in miniera.)


“Conosci la terra dove fioriscono le bombe?”. D’estate, nel mio paese, c’era l’usanza di risolvere le principali questioni politiche approfittando che Cipputi e Fantozzi erano al mare. Si piazzava una bomba su un treno o in mezzo a una folla, si faceva una dozzina di morti e poi si compariva alla televisione ad annunciare la grave emergenza e la necessità di non disturbare i governanti. I colpevoli, come da indagini, erano anarchici attivamente ricercati. Dopo una decina di anni, saltava fuori che la tale bomba era stata messa dal tale fascista in combutta coi servizi segreti, la talaltra dal tale agente in combutta coi fascisti, e così via. Ma ormai era una notizia da pagine interne.
Poi Fantozzi e Cipputi sono andati in pensione, e per un po’ di tempo non c’è stato più bisogno di bombe: i loro figli erano talmente buoni e bravi, che i governi potevano stare tranquilli (a parte le rivendicazioni sindacali dei bombaroli temporaneamente disoccupati, che ogni tanto mettevano una bombicella qua e là per ricordare a chi di dovere i debiti pregressi).
Adesso però i ragazzini hanno ricominciato a fare i maleducati. Vogliono conto e ragione su chi comanda e come, e addirittura arrivano a contestare i governi: e persino in piazza! Allora: numero uno, giù legnate; numero due, un po’ di tritolo educativo. Numero tre, quattro e cinque: allarme in televisione, siamo tutti sulla stessa barca, basta con le critiche al governo, smettiamola con tutto questo casino. Secondo me, non funziona. Secondo loro, tentare non costa niente. Vabbè. I giudici, ai tempi delle bombe di allora, in genere erano dei signori timidi e perbene che si lasciavano portare via i processi con un sospiro di sollievo. Ma adesso i giudici discendono da Falcone. A Venezia, a indagare sulla bomba, stavolta c’è uno come Casson, che a suo tempo non s’è lasciato intimidire da uno come Cossiga. Non credo che Casson si lascerà portar via il processo, che arresterà Valpreda o che si fermerà davanti a Giannettini.
Occhio, comunque, ragazzi. Tira un’aria che ben conosco.


Nairobi. Continuano le ricerche di Erminia Nogiotto, l’antropologa italiana dispersa da una settimana nella regione del Kilimangiaro. La professoressa Nogiotto, che insegna etologia all’università di Assisi, si trovava in Kenia da alcuni mesi per studiare la vita di un gruppo di feroci gorilla, noti per la loro aggressività nei confronti dell’uomo. La professoressa ha tuttavia potuto portare avanti le sue ricerche in piena tranquillità: “Non sono cattivi – aveva dichiarato un mese fa a una radio keniota – Basta che alzi le braccia e fai vedere che non vuoi fargli del male, e loro tornano indietro”.
* * * Ultimora. È stata ritrovata, in stato di choc e in gravi condizioni, la professoressa Nogiotto, la ricercatrice italiana che da sei mesi viveva indisturbata con un gruppo di ferocissimi gorilla dl Kilimangiaro. I sanitari le hanno riscontrato rottura dell’arcata sopraccigliare, frattura alle costole, trauma cranico, ferite lacero-contuse in varie parti del corpo. “Non capisco – ha balbettato l’etologa – Io ho fatto vedere che non avevo niente in mano, ho alzato le braccia, sono tornata indietro…”. “Gorilla di un’altra razza?”. “No. Celerini italiani in vacanza nella giungla”.


Vabbè, prendiamola a ridere. Il ministro della giustizia ha aperto una formale inchiesta su un giudice milanese. Costui, alla notizia della nuova legge che abolisce il reato di falso in bilancio “L’avranno preparata – era sbottato – gli avvocati di Berlusconi”. Da cui, l’intervento del ministro.
In realtà, sarebbe consolante sapere che gli avvocati di Berlusconi sono impegnati in faccende del genere, in cui perlomeno fisicamente non si fa male a nessuno. Il guaio è che oramai, avendo fatto carriera, si occupano di cose più delicate, e principalmente l’intimidazione di giudici e poliziotti (ha ragione Berlusconi a dire che è in corso un attacco contro le forze di polizia: se si guardasse allo specchio, potrebbe anche vedere chi è che attacca).
Un attacco alle forze dell’ordine, per esempio, è venuto dall’avvocato di Berlusconi Taormina, che in un processo a un boss mafioso pugliese ha telefonato, dal ministero dell’Interno, al maresciallo che l’aveva arrestato per chiedergli conto e ragione. Taormina, di notte, va in giro con la tuta nera. E nessuno lo arresta.


Genova. Il ministero dell’interno comunica che è stato posto sotto protezione Alessandro Perugini, il coraggioso funzionario di polizia immortalato in una foto mentre prendeva a calci un ragazzino immobilizzato, che s’è salvato per miracolo. Non comunica invece se costui continui a prestare servizio in un altro reparto di polizia, o se sia stato posto “sotto protezione” in un luogo dove anche i cittadini possano essere protetti da lui.
Nel caso di Perugini, come in altri, la Magistratura deciderà quale pena merita un “poliziotto” (ma la parola è sbagliata, in questo caso: poliziotto era Boris Giuliano, o Ninni Cassarà) del genere. La pena che gli daremmo noi sarebbe semplicemente quella di non stringergli la mano, di non salutarlo, di guardare con pena i suoi figli, di non chiamarlo – se fossimo poliziotti – collega. Che altra pena può meritare uomo adulto e armato che prende a calci un ragazzino tenuto fermo dai suoi sottoposti? Davvero un personaggio come questo deve portare la stessa divisa dei poliziotti di Palermo?


Professionisti. Siamo nel duemila e uno, e ancora il Corriere della Sera se la prende coi “professionisti dell’antimafia”, Borsellino e Orlando, che ancora a distanza di quindici anni non riesce a perdonare (Francesco Merlo, sul numero del sette agosto).


Bicicletta. Non si usa più. La gente ingrassa, e le vendite in Europa sono diminuite di un quarto: in città, tutti ormai comprano la Smart. In Italia, la fabbrica più famosa annuncia per l’autunno quaranta licenziamenti: è la Bianchi, quella di Fausto Coppi.


Kabul. Arrestati per per cristianesimo ventiquattro volontari delle organizzazioni umanitarie internazionali. Rinchiusi in riformatorio sessanta bambini contattati, e forse convertiti, dai corruttori.


Cronaca. Bologna. Una ragazza cinese, rinchiusa con altre giovani lavoratrici in una casa di periferia, fugge dal quinto piano con delle lenzuola annodate. Cade e muore. Nella confusione, le altre ragazze riescono a fuggire a loro volta. I padroni le ricatturano. Una però ha avuto il tempo di avvertire i carabinieri.


Cronaca. Roma. Porta Portese. Alcuni giovani napoletani colti sul fatto mentre vendevano ai turisti telefonini giocattolo spacciandoli per veri. Due arresti.


Cronaca. Roma. Concluse e dimenticate ormai da tempo le indagini sull’assegnazione delle licenze Umts per la nuova generazione di telefonini. Nessun arresto.


Cronaca. Roma. Il grande Veltroni fa demolire megavilla abusiva a Casino Mattei, nell’Agro Romano. Ah, se non avesse perso tutto quel tempo con la politica…


Cronaca. Rebibbia. Milleseicento detenuti di Rebibbia scrivono a Ciampi: “Presidente, ci aiuti. Viviamo in una costante violazione dei diritti umani”.


Internet in mongolfiera. Se ne parla, in Inghilterra, a proposito di un esperimento della Advanced Technologies. L’ipotesi sarebbe di collegare gli utenti mediante delle trasmettenti piazzate, appunto, su dei palloni aerostatici dotati, a loro volta, di pannelli ad energia solare.
Secondo gli inventori del sistema, basterebbe una ventina di mongolfiere per coprire tutta l’Inghilterra, eliminando le costose installazioni fisse al suolo. Una specie di satellitare dei poveri: con la differenza che, essendo la mongolfiera più vicina alla superficie terrestre, la qualità e velocità di ricezione dovrebbe essere migliore.


Windows XT, il nuovo sistema operativo Microsoft, sarà un po’ meno categorico dei precedenti nei confronti dei produttori di computer col sistema preinstallato. Sarà infatti possibile, per i produttori che vorranno farlo, disinstallare Internet Explorer dal sistema e perfino dalla barra dei menù.
Ufficialmente, è una risposta alle accuse delle autorità antitrust (che avevano preso particolarmente di mira il legame fra Windows ed Explorer); la posizione legale di Microsoft in questo campo non è infatti ancora tranquilla, anche se non paragonabile a quella dell’era Clinton. Più sostanzialmente, tolto di mezzo il principale concorrente di Explorer, che era il vecchio Netscape (assorbito da Aol), non c’è più motivo di “giocare sporco” imponendo il browser di casa a chi lo vuole e a chi non lo vuole.
Alla generosità c’è un limite, naturalmente: la separazione dei software Microsoft non si estende a Microsoft Network (community service) e Windows Media Player (lettore multimediale) che dovremo continuare a tenerci obbligatoriamente, se vogliamo lavorare sotto Windows. E anche per Explorer, in fondo in fondo, non è che ci permettano di non installarlo: semplicemente, una volta installatolo con tutto il resto, ci è concesso di fare l’operazione inversa e disinstallarlo.


Inghilterra. Corsi di autodifesa per gli insegnanti delle scuole. Prese morbide, immobilizzazione rapida, “soluzione di eventuali problemi”.


Giappone. Cala ancora a giugno l’indice integrato dell’economia. Nessuno fa previsioni per la ripresa autunnale.


Crisi. Ai due estremi del mondo, in Argentina e in Turchia, prova generale di Ventinove. Vecchi vocabolari e soprammobili di famiglia in vendita sui marciapiedi, impiegati non pagati da mesi, improbabili bancarelle improvvisate agli angoli delle strade; i ministri dell’economia fanno appello al patriottismo del pubblico, e assicurano che la crisi passerà presto. In entrambi i casi, le povere economie locali – tentando di entrare nel grande giro del Benessere occidentale – non ce l’hanno fatta a sopravvivere alle sempre più ultimative prescrizioni del Fondo monetario internazionale.


Lettera di ferragosto.

mi chiamo Delfino Gianluca e sono di Cuneo.
Sto spedendo queste e-mail per rintracciare i due giornalisti che nel giorno 20-07-01, intorno alle ore 15.45-16.00, nei pressi di via Antiochia (zona della stazione Brignole) a GENOVA hanno assistito al mio pestaggio con conseguente arresto.
Ricordo la loro indignazione e so che nulla avrebbero potuto fare, ma se ora potessi rintracciarli sarebbe un grande aiuto, poiché potrebbero rappresentare una testimonianza importante nel processo in cui sono imputato per resistenza e violenza aggravata. Ero disarmato, senza protezioni, da solo e a mani alzate; nonostante ciò il mio arresto è stato convalidato. Al momento indossavo dei pantaloni beige corti fin sotto al ginocchio, una maglietta nike nera ed uno zaino viola. Sono alto circa 1,75m e ho i capelli scuri, corti.
Chiedo a chiunque di aiutarmi a rintracciare questi due giornalisti, per non dover subire ulteriori umiliazioni, oltre ai danni fisici e psicologici che già ho dovuto sopportare durante l’arresto e nelle terribili ore in questura, nonché nei giorni passati in carcere ad Alessandria.
Chiunque fosse in grado di fornirmi informazioni utili la/lo prego di contattarmi al numero 0171/402545 oppure tramite e-mail a: gianlucadelfino@hotmail.com. Il mio indirizzo è:
Delfino Gianluca, via Dei Lerda n. 17, Madonna delle Grazie, Cuneo. Grazie.>


Incipit – di non so che cosa. Adriano Sofri, che era il mio comandante quando ero in Lotta Continua insieme a Peppino Impastato e a Mauro Rostagno…


La fabbrica e l’Acquaviola

Il primo dei ragazzi che sono scesi dall’automobile ha il maglione rosso e un eskimo verde, gli altri tirano fuori qualcosa dal bagagliaio della millecento – vanghe, pale, picconi – mentre il quarto, che era lì ad aspettarli all’imbocco delal trazzera, viene verso di loro spingendo una carriola. Tutt’e quattro questi ragazzi stanno facendo qualcosa di molto importante, loro e alcuni contadini della zona, cioè denunciando l’ennesimo sopruso delle Autorità costituite, combattendo l’emarginazione della Classe contadina e anche, con pudica e viscerale convinzione, facendo la Rivoluzione. Tutto questo, visto da molto lontano, come in un cannocchiale rovesciato: le sagome – picconi che s’alzano e si abbassano, ragazzi piegati sulle carriole, crocchi di contadini diffidenti – si fanno sempre più nitide e irreali. Rimane solo più dei punti neri, e una striscia blu-violento all’orizzonte. Questo, infatti, è un paese di mare.
Ed è il mio paese. Voglio parlare di lui, per una volta, e non dei Cavalieri.
Adesso, per parlare del mio paese, tecnicamente dovrei intervistare i miei paesani. Molaforbice che aveva la bottega d’arrotino in piazza e sapeva tutto di tutti, Enrico il barbiere che era un grande compagno e aveva persino parlato con Togliatti, il barone rosso Marullo e un sacco d’altra gente. Ma mi vergogno di sembrargli forestiero, dopo tanto tempo. E poi, tanti di loro non ci sono più, emigrati, rinsaviti o morti. Così ho deciso, l’intervista, di farmela da me stesso. Mi sono invitato al bar per mettermi a mio agio, il migliore bar del paese, e ho cominciato diligentemente ad annotare. Anzi, prima ho fatto un cenno al cameriere, che mi conosce. Lui ha capito al volo e mi ha portato due gin-tonic, uno per me e uno per quello che stava intervistando.
– Dunque, signor O., lei poco fa ci ha parlato, piuttosto nebulosamente per la verità, di una strada e di alcuni tizi che andavano a fare qualcosa di losco da quelle parti. Robba sovversiva, mi pare. Vuol avere la bontà di spiegarcelo lei stesso?
“Uhm. Mica facile. Comunque, la sostanza è questa: era più o meno il sessantotto e volevamo far casino pure al nostro paese. È stato Francesco che ha avuto l’idea”.
– Di scatenare l’attacco al cuore dello Stato?
“Peggio! Lui è arrivato ai gradini di san Giacomo alla marina, ci vedevamo tutti là il pomeriggio, e ha detto che aveva trovato come rendere popolare il movimento. Il giorno dopo invece di stare con la chitarra sui gradini del prete eravamo a picconare sulla comunale da Santa Marina al mare. L’idea era di rifare noi la strada che il comune non gli aveva mai voluto riparare, ai contadini di là. Stare in mezzo alle masse, lo diceva pure Mao. I picconi pesavano una tonnellata l’uno e le masse sgignazzavano ad ogni picconata”.
– Non è bello da parte sua denigrare così la coscienza di classe. Mao non l’avrebbe fatto.
“Quella si manifestò al terzo giorno sotto forma di gran fiaschi di vino. Ma non era coscienza di classe, era compassione di noi poveri disgraziati. Ce ne tornammo a casa ubriachi e la strada restò lì”.
– Forse ho sbagliato a cominciare con quella domanda. Forse con una più generale ci andrà meglio. Vediamo. Quali erano secondo lei le problematiche più essenziali del paese all’epoca?
“Non le lasciavano uscire. Non le lasciavano assolutamente uscire di casa la sera. Le ragazze, intendo. Una volta il Poncio che c’era riuscito a farne uscire una in marina fu preso a schiaffoni per la strada dal padre della tizia. E non era un caso isolato”.
– Ma, e i problemi dei contadini?
“I contadini si difendevano da sé. Ai tempi loro, subito dopo la guerra, uscivano con le doppiette quando il barone gli mandava contro i mafiosi. E poi lavorando e stando uniti e giocando a carte alla sezione del partito e tenendo bene aperta l’osteria. Avevano un capo con dei baffi alla Stalin e scendevano in paese con le bandiere. Ma poi li hanno fregati con la Fabbrica”.
– Cos’è, la solita storia del Progresso che tradisce le Aspettative?
“Non lo so. So che c’era il vecchio Currò, aveva preso medaglie in guerra e i fascisti gli offrirono un posto ma lui niente, comunista era e comunista è morto. Currò faceva le migliori barbatelle di tutta la Sicilia, son cose che servono a innestare la vite e al mio paese le aveva portate un francese, più di cent’anni fa. Avevano viti, ulivi e barbatelle, e la domenica il partito e l’osteria. Il figlio di Currò invece è andato in Fabbrica. Poveraccio”.
– Mi parli un po’ di questa fabbrica.
“Non ne ho la minima voglia. Parlerò invece di quello che c’era prima. Una spiaggia grandissima, canne fin sulla riva. La chiamavano l’Acquaviola e viola era veramente, d’estate. Poi sono arrivati loro. Ma è stato dappertutto così”.
– Un altro gin-tonic? “Sì. Dunque, la fabbrica era costituita da sei grandi serbatoi cilindrici, più la centrale per il cracking e le incastellature. Più tardi misero anche le tre superciminiere. I serbatoi ce li giocammo a carte, più tardi, quando occupammo la fabbrica. Giocavamo a tressette per passare il tempo e non avevamo una lira da giocarci. Così decidemmo di giocarci la fabbrica, ogni partita un pezzo”.
– Ah! Fabbrica occupata, pure al suo paese!
“Quando capirono le cose – ma era già tardi. C’erano capannelli di operai nell’alba, al buio, davanti ai cancelli. Quando videro il cartello, decisero di non accettare i licenziamenti, scavalcarono i guardiani ed entrarono dentro. C’erano quattordici delegati, che rappresentavano gli operai. Sedevano attorno al tavolo dei padroni, un tavolo grande, lucido, ma i padroni erano via. Discutevano come salvare la Fabbrica, e anche come salvarsi da lei. Il giorno dopo mandarono la celere ai picchetti, due plotoni di celere ed uno di baschi neri. I celerini salivano lentamente per il cavalcavia e tutti gli operai, fronteggiandoli, indietreggiavano davanti a loro. Poi furono ai cancelli, e non ci fu più niente dove indietreggiare. Allora gli operai si fermarono, con la schiena contro i cancelli della loro fabbrica e la faccia contro i celerini. Rimasero fermi là.
Nell’atri della fabbrica, dove prima usciva il turno di notte, c’erano gruppi di operai che preparavano i cartelli. Erano tutti molto giovani, ancora contadinelli o braccianti. Gridavano e correvano e si chiamavano fra loro come degli scarcerati. Ma lui, Bastiano, stava al cancello dell’atrio e aveva la faccia ingrugnata. Bastiano è quello che arriva in bicicletta prima del primo turno, al buio. Ha il portavivande di metallo e l’aria rassegnata. Ha anche una moglie che si chiama Filippa e una vecchissima casa, e con la bicicletta e il lavoro alla Fabbrica questo è tutto quello che ha. Bastiano non è un lecchino, non tradirà mai i suoi compagni (anche se sente già Filippa che mugugna “ti hanno messo nei guai”). Però non è cosa sua stare là in mezzo agli altri, nessuno gli ha mai regalato niente. E ora è là a braccia incrociate, i baffi grigi all’ingiù e l’aria da primo turno. Passa correndo un ragazzetto e urta contro Bastiano, lo spinge senza accorgersi, di fretta. Bastiano non fa una mossa. Ed è del tutto inaspettatamente che all’improvviso si scuote, strappa a un ragazzo un pennarello e un foglio bianco e comincia diligentemente a compitare, inginocchiato per terra “BASTA CON I PADRONI E I LICENZIAMENTI”. E poi prende il cartello, e va ad attaccarlo all’ingresso. E resta a fargli la guardia, fieramente”.
– Non credo che tutto questo abbia fatto la storia.
“No. Ma per Bastiano qualcosa ha cambiato. Aveva sessant’anni e diceva orgogliosamente “sono della lottacontinua”. Del resto, abitava accanto alla sede. Filippa ce l’aveva con noi per via di un suo nipote brigadiere, forse un po’ ci ha perdonati quella volta che ha lasciato aperto il pollaio e si son perse le galline, e tutta la lottacontinua del paese ha interrotto la riunione e s’è messa a cercare le galline di Filippa e gliele ha riportate. Ma di nascosto guardava con tenerezza Anna che aveva quindici anni e loro non avevano figlie”.
– Senta, io volevo storie da stampare, mica le sue paturnie. Può essere che non abbia nulla di serio da raccontarmi? La violenza estremista, la repressione borghese…
“Vediamo. La repressione: una volta presero salvo in piazza, e lo portarono al commissariato. Gli tagliarono i capelli a zero, lui era stato il primo capellone del paese e peggio di questo non gli potevano fare. Però stava bene anche con i capelli corti. I fascisti: un giorno vennero da tutti i paesi dei dintorni e persino dal capoluogo e noi li ricacciammo dopo una scazzottatura furibonda che durò tutto il pomeriggio e buona parte della sera. Alcuni finirono a mare. Chiamammo gli scaricatori del porto e così alla fine vincemmo noi. Uhm. Però dopo tanti anni la verità la posso anche dire: agli scaricatori non dicemmo “arrivano i fascisti”, dicemmo “arrivano i barcellonesi”.
Barcellona è il paese vicino, c’è una vecchia ruggine col mio. Così gli scaricatori si convinsero e vennero e menarono le mani”.
– Sempre più mi convinco d’essere stato indirizzato alla persona sbagliata. Non so proprio cosa sto facendo qui con lei. Di solito mi occupo di cose serie, di lotta alla mafia…
“Beh, se cerca la mafia può dare un’occhiata qua in giro. Là, per esempio, ci sono i cartelloni della costruzione del nuovo frangiflutti, li fa un certo Gaetano Graci, mi dicono che sia abbastanza conosciuto, a Catania. Ha aperto un sacco di banche qui e nei paesi vicini. Fossi in lei consiglierei ai compaesani di stare molto attenti. Oppure può chiedere qua vicino, a Barcellona, di un certo Antonino Santapaola. Sta al manicomio ma non è affatto matto, è una belva. Al manicomio aveva messo sotto tutti, fortuna che i giudici non sono catanesi e l’hanno messo a posto. Vedrà che continuando così fra poco qui ci sarà da lavorare anche per lei, fra un Graci fuori e un Santapaola dentro”.


noglobal@yahoogroups.com wrote:

Lo staff dei legali del Genoa Social Forum sta lavorando per ottenere verità e giustizia su fatti del 20-22 luglio. È indispensabile che il lavoro dei legali venga sostenuto anche finanziariamente, e per questa ragione il GSF ha aperto un conto corrente bancario al quale è possibile versare un contributo, che andrà a sostegno delle spese legali e processuali.
Il conto corrente è 61359/80, intestato a Don Balletto, Banca Carige Filiale n.15, ABI 06175, CAB 01400


Benito D’Ippolito wrote:

<

Ballata per una Regina morta ammazzata
sulla strada tra Tuscania e Tarquinia nell'estate del duemilauno

Ci sono cose che non sai come dirle
e allora le scrivi a righe interrotte.

Dilaniata dai randagi la salma è stata scoperta giorni addietro
di una giovane donna nigeriana
resa schiava in Italia e venduta
come carne e cavità sulla strada
tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe
etrusche, le romaniche chiese, le ubertose
campagne che vanno alla maremma.

Leggo sui giornali gli impietosi
dettagli di cronaca nera, gli empi
segni di sempre da quando Caino
al campo invitò suo fratello.

Leggo sui giornali, i giornali locali
(non è notizia da cronaca italiana
una persona annientata e abbandonata ai cani: è invece fatto
che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo
sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti
di petrolio pagine quotidiane).

E dunque leggo sui giornali locali:
dicono che si chiamasse Regina, venisse
dalla Nigeria, presa e recata
schiava in italia, dicono
chi l'abbia uccisa non sapersi.

E invece io so chi l'ha uccisa:
anche se non l'ho mai vista né da viva né ormai resa cosa
immota e deturpata. Io so
chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti.

E non solo l'eventuale fruitore di servigi
che in un raptus può averle torto il collo
a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi

e non solo il racket che fornisce
carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi
che usciti di scuola o dall'ufficio
sulle loro carcasse di ferro perlustrano
i fiumi d'asfalto alla caccia di prede
e non solo lo stato italiano che vede
tanto orrore per le sue strade
e non agisce per salvare le vite
concrete di esseri umani, non agisce
per far valere quella legge che vieta
nel nostro paese la schiavitù

e non solo.
Io stesso mi sento le mani
sporche di sangue, io stesso che so
che a questo orrore resistere occorre
e che da anni non so fare altro
che spiegare come applicare
quell'articolo della legge 40
combinato con quell'altro articolo
del codice penale e come e qualmente
le istituzioni potrebbero salvare
la vita di tante Regine assassinate.
E nulla di più ho saputo fare.

E queste parole che ho aggiunto
avrei voluto tacerle.

>

(mailto: nbawac@tin.it)