San Libero – 9

Russia Prussia Francia ed Inghilterra han tenuto un gran Congresso in Firenze. I reggitori delle principali Potenze, accompagnati da Dignitari e Consorti, han discusso sul bene dé loro Popoli, affinché ognuno abbia il suo dovuto e non più abbiano ad esservi turbamenti né guerre…
Di solito, una notizia del genere, va sui fogli volanti e noialtri cantastorie la giriamo nelle osterie e nelle piazze per mezza lira. Ma desso che c’è internet, come si fa? Non posso entrare nell’osteria coll’internet e non posso accompagnare la notizia con la chitarra. Allora ve la dò senza, ma è tutta un’altra cosa. (“Viva la Russia/ viva la Prussia/ e poi quel povero/ Napole-on/ Ed è vent’anniii/che faccio il soldà… “).
L’imperatore sbadigliava. “Maestà – s’è fatto avanti uno dei cortigiani – ci sarebbe qua quel cantante italiano… “. Sua maestà ha fatto un cenno annoiato. “Tu fenire, cantare me Sole mio!”. Così il nostro Benigni, col cappello in mano, ha fatto tutto il pranzo con Sua Maestà, e alla fine, in un impulso, ha abbracciato e baciato la Sacra Persona. Un ussaro ha fatto per afferrarlo ma il ciambellano, uomo di mondo, l’ha fermato – Sua Maestà sorrideva. Ai comici si permette tutto…
Malinconia… Ricordate Benigni che solleva Berlinguer? La più bella foto della sinistra italiana, insieme con quella di Pertini in Spagna (Italia-Germania tre a uno: il lider tedesco grasso e incazzato, Pertini con la pipa che sghignazza e il re di Spagna educatissimo in mezzo). Benigni contadinaccio che sghignazza, Berlinguer amico perbene che – finalmente! – ride, due persone felici in mezzo a noi compagni. Poi ci fu Benigni che solleva D’Alema – anzi no, fu D’Alema il sollevatore stavolta, il Capo – e già qui felicità non ce n’era, ma insomma per la sinistra si fa i sacrifici. E ora Benigni e Clinton, il cantante italiano e l’imperatore. Povero Benigni. E poveri noi, povera la nostra sinistra, povera nostra gioventù.
* * *
Veltroni, intanto, andava al Mugello – a Vicchio di Mugello, stavolta, completamente fuori mano – a commemorare don Milani. Don Milani precursore, insieme a Kennedy e Tony Blair, della sinistra però moderna. Il fatto è che Don Milani, a Veltroni, non gli avrebbe fatto metter piede a Barbiana. Non perché comunista o perché ce l’avesse per lui – politicamente – come ce la potrebbe avere uno come me e te. Ma semplicemente perché don Milani, con gl’intellettuali “di sinistra”, era bestialmente incazzoso. Buttava fuori i professorini cattolici di Firenze (“vengano per imparare dai poveri, se ne han voglia. O stiano a casa loro”), figuriamoci i componenti di governo. Quelli poi che, essendo stati responsabili di Stampa e Propaganda del partito comunista proclamano d’essere sempre stati anticomunisti nel fondo del loro cuore…


Ma insomma quanti anni ha un ragazzo? Diciamo, da tredici a trentacinque (ma io ho anche sentito la frase “il mio ragazzo” riferita a un uomo di quarant’anni… ). Tutta questa fascia d’età una volta era distinta in ragazzino, ragazzo, giovanotto, giovane, uomo ecc… A ciascuna di queste fasi corrispondeva una specie d’esame, condotto dalla vita, che ti metteva in grado di passare alla fase successiva e ti di dava autostima.
La “paura” (che poi è un sentimento molto complesso) che dici tu potrebbe avere a che fare con questo? Con l’insicurezza prodotta dal non essersi misurati? C’era un corridoio buio, ricordo, che mi faceva molta paura, tantissimo tempo fa; finché una volta, senza sapere perché, mi sono buttato a percorrerlo. Ricordo ancora il rumore della mia corsa di bambino di 4 o 5 anni lungo quel corridoio, la mia paura (ho cominciato a correre con gli occhi chiusi) e la felicità quando alla fine sono arrivato in fondo (dava in una vecchia cucina) e mi sono precipitato fra le braccia di Giovanna, la nostra tata, che stava risciacquando qualcosa e ha sorriso venendomi arrivare di corsa. Strano come certi ricordi restino chiari. Ricordo la felicità – ma non è la parola adatta: comprendeva qualcosa di luminoso – dei giorni dopo.


Ettore (su un forum) wrote:
<Mi sembrava di essermi espresso chiaramente: niente intellettuali e giornalisti. Lo che va sempre a finire così: questi pontificano e poi mi accusano come se fosse colpa mia. Io ho il massimo rispetto per te e per i tuoi amici che ci hanno rimesso la vita. Ma questo è un problema interno della Sicilia. Lo so che voi da soli non ci potete fare niente. E allora andatevene da lì. Venite da noi e vi accoglieremo a braccia aperte. Riesco a immaginare quanto sia terribile fare parte del 3% di civilizzati ed essere circondati da scimmioni irragionevoli. Quando sento parlare della Sicilia non mi viene in mente la tua faccia onesta e leale ma quella gran faccia di bronzo di Mancuso.>
* * *
Caro Ettore, sarò un intellettuale e sarò un giornalista, magari, ma grazie a dio sono selvaggiamente disoccupato: al nord, come al sud. Quindi, ho diritto di parola. Ti ringrazio per l’offerta d’asilo. Ma ho paura di venire laggiù in fondo al nord. La mafia di Milano mi fa paura. Ci ho messo tant’anni a spazzare la mafia da casa mia, che non ho nessunissima voglia di andarmela a godere altrove. Verrò volentieri, quando avete fatto altrettanto; appena comincerete a far capitribù, tanto per intenderci, gli Orlando e i dalla Chiesa e non gli Albertini e i Craxi. Bravini come siete, se volete in una dozzina d’anni ve la cavate. Ti dò la ricetta, se vuoi (e, se vuoi, ti spiego anche perché non ancora non siete abbastanza maturi per volerla, come non lo eravamo qui vent’anni fa). Quanto a Mancuso, è indubbio che è una gran faccia di bronzo (noi usiamo un termine un po’ più colorito). Però noi siciliani l’avevamo mandato ai giardinetti: c’è voluto il milanese Berlusconi per metterlo nel governo.
La parte peggiore di tutta la faccenda è la seguente: sto scherzando, come capisci, e di solito non mi passa per l’anticamera del cervello di dividere il mondo in siciliani e milanesi. Ho imparato da un sacco di tempo che ci sono i milanesi stronzi e i siciliani stronzi (sempre prontissimi a far congrega fra loro) e i milanesi perbene e i siciliani perbene (di solito talmente coglionazzi da non riuscire nemmeno a discutere fra di loro). Ma ora, giocando a fare il “razzista”, mi accorgo che, accidenti, comincio a pigliarci gusto. E che, rileggendo la tua lettera, per un brevissimo istante ho pensato “quel milanese” e non “quel fighetto”, come avrei dovuto. Me ne scuso dunque in fretta con tutti i milanesi cioè – essendo io italiano – con il cinquanta per cento di me stesso.


C’è una scena bellissima in “Allonsanfan” (il film) ed è la barca con l’anarchico che scende il fiume. Nella barca ci sono lui, ammanettato, e quattro gendarmi. Lui ha la sua età. Ricorda qualcosa, mentre la barca scende; il film è in sostanza un lungo flash-back di quel momento. Poi arriva un’altra barca, che invece risale il fiume. Anche qui c’è dei gendarmi, e due uomini ammanettati. Solo che questi sono ddue ragazzi, due – novità – socialisti. Le due barche s’incrociano, e i compagni si guardano a vicenda. Ma non si riconoscono – per il momento. Solo per il momento.


Gabriella wrote: varie critiche un po’ colorite al “tradimento” di alcuni esponenti della sinistra
* * *
Cara Gabriella, io penso che in questo momento non ci sia alcuna sinistra in Italia, ma non lo dico in tono apocalittico o incazzato. Semplicemente, come altre volte è successo nella storia, la sinistra politica è un rimasuglio, ovviamente fasullo, di altre epoche. All’interno di ciò ci sono certamente anche dei tradimenti individuali, ma non sono l’aspetto determinante.
Qualche po’ di tempo fa, diciamo verso il 1870, c’era una sinistra ufficiale che credeva in buona fede (beh, insomma) di essere lei la rappresentante del progresso e degli interessi popolari. Era fieramente nemica della monarchia assoluta e dei reazioonari, i quali però – grazie a Mr Robespierre e altri come lui – non contavano più granché, persino in Italia. Era per la democrazia liberale, per la quale tuttavia intendeva il diritto di voto (censitario) per il 10-15 per cento della popolazione. Era nemicissima dei Borboni, e lo ricordava abbastanza spesso, ma dei Borboni nel 1870 non c’era più molta traccia. Ed era, molto spesso, al governo. Governava bene, rispetto ai Borboni.
Ora, tu immagina che in questo felice paese, con la sua brava sinistra e la sua destra, a un certo punto succede che nel buco del culo del mondo – diciamo, chessò, a Vercelli – una ventina di tizi, che lavorano in una filanda di cotone, decidono che i soldi non gli bastano più per campare; e un bel giorno si mettono faticosamente d’accordo e decidono, per quel giorno, di non lavorare. Di loro venti, tre o quattro sono “di sinistra” (cioè vanno ai comizi dell’onorevole Cavallotti, e sanno che non andare al lavcoro tutti insieme si chiama “sciopero”).
Tre o quattro – magari cinque o sei – sono fedeli monarchici, vanno in chiesa, raccontano con nostalgia di quando hanno fatto il soldato, e sono incazzati con i signori perché non raccontano al re in che condizioni vivono i suoi fedeli sudditi: se sua maestà sapesse! ma non lo sa. Tutti gli altri, infine, sono persone “normali”: non leggono le gazzette, vanno ogni tanto in chiesa e più spesso all’osteria (al sindacato, mai: anche perché di sindacato non ce n’è) e però capiscono benissimo che con trenta lire al mese non si campa, e che se invece di essere trenta fossero trentacinque le cose andrebbero molto meglio.
Tutti questi venti esseri umani, un giorno dopo l’altro e senza starci troppo a pensarci sopra, nel corso dello sciopero vanno crescendo. Qualcuno di loro si rivela vigliacco, qualcun altro coraggioso. Uno si dà malato, e si tira indietro. Un altro, quando il padrone viene in fabbrica a sbraitargli il loro dovere (chissà se questo padroneé “di destra” o “di sinistra”: ma ha importanza?), lo guarda dritto negli occhi senza paura. Uno è un padre di famiglia, ha quattro ragazzi da mantenere; eppure, quando il padrone lo guarda, non abbassa la testa neanche lui. E tutte queste cose succedono (le cose visibili, e quelle dentro ciascuna di queste *persone*, per trenta centesimi di aumento. Forse. O forse no.
La cosa “scientificamente” interessante di tutto questo è che nessuno di questi operai ha la minima idea di essere di sinistra, tranne i tre o quattro che vanno ai comizi “democratici”. Non solo: se vai a parlare con un politico e gli chiedi “Scusi onorevole, ma secondo lei questi operai sono di sinistra?” lui ti guarda con aria stupita e “Ma figliola – ti fa – che c’entra la destra e la sinistra con queste storie di quattro lire? Se non sanno nemmeno chi era Adam Smith!”. Solo molti anni dopo i professori scrivono la storia, e studiando studiando si accorgono che la Sinistra vera e doc se ne stava nascosta proprio laggiù a Vercelli, fra quei venti qualunquisti che facevano tanto casino per quattro lire.