Mafia 1. Fra due paesi confinanti – il Pakistan fondamentalista e sostenitore dei talebani, governato da un generale che si e’ eletto da se’ e l’India democratica e nemica dei talebani, governata da un regime elettivo parlamentare – Bush, dopo le bombe, ha scelto il Pakistan. Bin Laden ha conseguito un primo risultato; assassinare l’America, a quanto pare, paga.
Dopo le dichiarazioni del generale Powell (“Vogliamo catturare degli assassini, non cambiare il governo afgano”) la “guerra al terrorismo” e’ praticamente finita e continua essenzialmente per rabbonire l’incazzatissima opinione pubblica americana. La classe politica statunitense, che per alcuni giorni era sembrata raccogliere l’urlo di rabbia dei cittadini dopo l’undici settembre, alla fine ha fatto i suoi conti e stabilito delle priorita’: niente abbattimento del governo talebano, perche’ costerebbe troppo e infastidirebbe i pakistani. Niente sanzioni ai sauditi, perche’ dei sauditi c’e’ bisogno per il petrolio. Niente sanzioni ai pakistani, che vengono anzi premiati (servono a tenere a bada l’India) per aver contribuito a sostenere gli assassini che hanno ammazzato seimila cittadini americani. Niente intervento dell’Onu, popolata da troppi negri, e niente controllo dei paradisi fiscali dove viaggiavano i soldi di Laden, perche’ le banche pretendono riservatezza.
Ventiquattr’ore dopo le bombe, l’Fbi ha chiesto e ottenuto di mettere sotto controllo le lettere che viaggiano attraverso Hotmail; il controllo avviene piu’ cercando le parole “bombe” e “terrorismo” che i terroristi, evidentemente, usano quando scrivono “noi terroristi vogliamo fare un attentato”. I controlli bancari invece sono al punto in cui erano prima, e cioe’ a zero.
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Con molta facilita’, nei giorni piu’ drammatici, Bush junior e’ stato paragonato a Roosevelt nei giorni di Pearl Harbour. Buffo paragone. Se Bush fosse stato Roosevelt, non avrebbe affatto dichiarato guerra al Giappone, per non offendere i tedeschi, ne’ avrebbe lanciato il New Deal, per non infastidire le banche. Avrebbe arrestato qualche giapponese qua e la’, avrebbe fatto molti proclami e alla fine avrebbe bombardato l’isola di Pasqua. Gli sarebbe mancato solo un Berlusconi per battergli le mani.
Gli americani hanno avuto la sventura di ritrovarsi nel momento piu’ drammatico del dopoguerra col presidente piu’ inconsistente del dopoguerra. D’altra parte, e’ stato Bush padre – da presidente e prima ancora da capo della Cia – a creare il meccanismo del terrorismo talebano-saudita. Bush figlio lo sta semplicemente tollerando.
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Le “guerre” di questi giorni, che costeranno vite umane, non hanno nulla a che fare con la lotta al terrorismo. Servono essenzialmente a far rialzare la Borsa, che e’ la funzione principale di quasi tutte le guerre.
Il terrorismo invece, una volta deciso che non e’ indispensabile sradicarlo davvero, si nascondera’ per un po’ (“calati juncu ca passa la china”) e poi riprendera’ come prima, con tutte le sue strutture finanziarie intatte, coi suoi paradisi fiscali piu’ disponibili di prima e con gli stati che lo sostengono (Pakistan e Arabia Saudita in primo luogo) piu’ liberi e piu’ autorevoli di prima.
Vano chiedere la cura al medico che contemporaneamente guadagna vendendo alla borsa nera le medicine.
Mafia 2. Italia C’e’ una svolta decisiva nei rapporti con Cosa Nostra ed e’ l’annuncio, discretamente, pubblicizzato, delle “rivelazioni” di Calo’. Non fa nomi e, ufficialmente, non si “pente”; dichiara di dissociarsi da Cosa Nostra e porta in dote una dichiarazione di valore inestimabile. “All’interno di Cosa Nostra – dichiara dunque Calo’ – la Commissione in realta’ decideva poco e niente. In particolare, non decideva assolutamente gli omicidi e le stragi. Queste ultime erano ordinate da singoli esponenti, non dall’insieme di Cosa Nostra. Chi sono? Non sono un pentito e quindi non faccio nomi. Ma i terroristi erano loro e non la Commissione”.
La battaglia giudiziaria di Falcone e Borsellino consistette proprio nel dimostrare che c’era un’organizzazione chiamata Cosa Nostra, gestita da una commissione di coordinamento fra i vari boss, che portava avanti una strategia unitaria. La tesi opposta era che queste erano tutte fantasie e che la mafia, se proprio esiste, non e’ che una serie di individualita’ criminali non coordinate. A quest’ultima tesi (di cui l’esponente piu’ autorevole era il giudice Carnevale) porta avallo, con la sua autorevolezza di grande boss, il “dissociato” Calo’. Calo’, a mio parere, sta trattando (ed e’ un aspetto della piu’ generale trattativa fra stato e mafia che va avanti ormai apertamente da quasi due anni): io vi porto la testimonianza che vi consenta di sostenere la tesi che vi conviene, cioe’ che la mafia non ha nulla a che vedere col potere e che Falcone aveva torto; voi in cambio togliete, prima o poi, tutte le restrizioni carcerarie e legali imposte a noi mafiosi.
Ed e’ una trattativa che funziona. Fra alcuni mesi, vedrete, uscira’ una “rivelazione” nuova e poi un’altra e un’altra ancora, tutte contrattate. Usciranno preferibilmente nel momento in cui l’opinione pubblica sara’ distratta o assorbita – come ora per la guerra – da emergenze maggiori.
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In queste settimane, in Italia, la “guerra al terrorismo” (cui il governo italiano contribuisce efficacemente, facendo incazzare gli arabi con le gaffe del presidente e rendendo piu’ complicate le indagini sui reati finanziari internazionali) sta coprendo molte cose. Sta coprendo, come sapete, le leggi (falso in bilancio, rogatorie internazionali) fatte su misura per i processi di Berlusconi, sta coprendo la persecuzione fisica contro i magistrati dell’ex pool Mani Pulite (lasciati senza scorta per ordine del governo), sta coprendo la messa a regime totale dell’informazione (la storia di La 7 e’ l’ultimo chiodo sulla bara).
Ma di tutte queste cose, ciascuna in se’ grave, la piu’ grave di tutte e’ la chiusura definitiva del capitolo mafia, la decisione consapevole di salvare gli interessi di Cosa Nostra da ogni possibilita’ d’indagine presente e futura, colpendo le testimonianze, i “teoremi” giuridici, i magistrati. Sicuramente il governo Berlusconi non e’ mafioso: ma non si vede che cosa potrebbe fare di diverso da quello che gia’ ora fa, se lo fosse.
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Mucca pazza? Non c’e’ piu’ (c’e’ appena stato il trentesimo caso, a Parma: ma chi ne sa niente?). Caso Bayer? Non piu’ una riga sui giornali. E Genova? Il sindacato italiano dei giornalisti ha appena mandato un dossier di denuncia alla Federation Internationale des Journalistes, cio’ che di solito avviene per la Turchia o la Colombia – eppure non ne ha parlato quasi nessuno. Il sottosegretario all’interno continua a difendere, per interposto studio legale, i mafiosi; e oramai nessuno dice nulla. Chi rispondera’ penalmente, se le indagini su Berlusconi dovessero essere interrotte dall’eliminazione fisica dell’inquirente, il giudice Boccassini, o se l’autore delle indagini su Sindona e su Mani Pulite, il giudice Colombo, dovesse improvvisamente “subire un incidente”? Il ministro che ha tolto loro le scorte: “Berlusconi – dichiara – non ne sa niente”. Ma neanche Mussolini “sapeva niente”. Pero’ Matteotti e’ morto lo stesso.
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Matteotti? Si’, Matteotti. Tutti garbatamente sorridono, ma qui siamo all’inizio di un regime. Il numero delle notizie che hai diritto di conoscere diminuisce sempre di piu’. Non c’e’ ancora la censura ufficiale: ma certe cose finiscono gia’ d’autorita’ confinate in poche righe nelle pagine interne. Fra le curiosita’, fra i trafiletti. A Milano, il processo contro Previti e’stato sospeso per un po’… perche’ uno sconosciuto s’era seduto al posto del pubblico ministero Colombo. A Palermo, un pentito chiama di nuovo in causa il braccio destro locale di Berlusconi, Dell’Utri. A Genova un intero centro sociale, il Pinelli, e’ stato messo a fuoco. La Philip Morris e’ incriminata per una frode finanziaria di piu’ di duemila miliardi. Nessuna di queste notizie (che abbiamo elencato a caso) presa a se’, e’ fondamentale. Ma, tutte insieme, fanno un panorama. Ed e’ un panorama che e’ assente dai telegiornali. Questo silenzio grida, e grida forte.
Mafia 3. Dell’industriale catanese Scuto ci siamo occupati il 17 aprile e il 10 settembre, e l’autocitazione e’ necessaria perche’ se aspettate i giornali e le televisioni non saprete mai chi e’ Scuto. E’ uno degli uomini piu’ ricchi della Sicilia, padrone – ufficialmente – di una serie di supermercati, e un paio d’anni fa un giovane procuratore catanese, Marino, gli ha mandato i carabinieri sotto l’accusa di riciclaggio del denaro mafioso. Apriti cielo. La procura ha annullato l’arresto, il giudice e’ stato cazziato per scorbutichezza, esagerazione e indagini giacobine, e un giudice piu’ anziano che aveva preso le sue difese (Scida’) e’ stato messo sotto processo dal Csm per medesimi e ancor piu’ gravi reati. Al Csm, Scida’ ha detto: “Guardate che a Catania cose del genere succedono ogni giorno”: i consiglieri l’hanno guardato, si sono guardati fra loro e hanno pensato… di trasferire d’autorita’ prima Scida’ e poi Marino.
Il povero industriale cosi’ ingiustamente perseguitato dai giacobini non e’ rimasto solo: l’hanno difeso a spada tratta quasi tutti i politici (molti “di sinistra”) i giudici piu’ attaccati alla poltrona, e naturalmente il padrone dell’unico giornale ammesso in citta’, il famoso Ciancio. Non solo: i politici piu’ amici suoi gli hanno fatto dare un premio, il “Rosa d’argento”, che si da’ ogni anno ai cittadini piu’ probi e meritevoli e che gli e’ stato difatti consegnato un mese fa con una solennissima cerimonia. E insomma, c’e’ una giustizia a questo mondo! ha esclamato Scuto.
L’altro giorno pero’ i carabinieri sono tornati a prenderselo: associazione mafiosa, riciclaggio e compagnia. Stavolta l’arresto e’ stato ordinato dal procuratore generale in persona. E adesso che faranno, trasferiranno anche quello?
Civilta’ inferiori. Eppure, per firmare un assegno a uno stalliere mafioso, serve lo zero. E lo zero ce l’hanno insegnato gli arabi, guarda un po’. Almeno per questo, il signor B. dovrebbe riflettere un momento prima di dire (in pubblico) che quella e’ una civilta’ inferiore.
L’altr’anno, invece che di arabi, si occupava di gay. “La cura per quelli malati di Aids? Le sabbiature. Cosi’ s’abituano a star sottoterra”. Bush e’ texano. Lui e’ brianzolo. Tutt’e due, a delicatezza…
Cronaca. Roma. Pregiudicato di Ponte Nona, agli arresti domiciliari per ricettazione si presenta ai carabinieri. “Non ce la faccio piu’ a sopportare mia moglie. Fatemi tornare dentro”. Ora e’ a Regina Coeli.
Cronaca. Oristano. Rubato l’ultimo pezzo di una colonna di epoca romana nel villaggio nuragico di Mal di Ventre, l’isola-parco a tre miglia dalla costa. Prima di allontanarsi i ladri hanno inoltre distrutto il blocco di pietra noto come “la roccia dei fidanzatini”.
Cronaca. Roma. Una senza-casa ucraina ancora non identificata, sui quarant’anni, e’ stata rinvenuta cadavere nei locali ex-Fs dietro la Tiburtina. Si ritiene sia stata colta da malore.
Governi. Secondo la dottrina classica a un governo, per essere riconosciuto come tale, occorrono tre requisiti: il territorio, la popolazione e l’effettivita’. Questa dottrina fu elaborata – come comportamento pratico, molto prima che come teoria – dalla diplomazia britannica fra il Sei e il Settecento. Non aveva e non voleva avere alcun contenuto morale (per riconoscimento s’intendeva semplicemente la presa d’atto che un dato governo esisteva, a prescindere da qualunque altra valutazione) e serviva semplicemente a “catalogare” in maniera realistica le varie fonti di potere nel mondo. E’ diventata senso comune, e noi oggi istintivamente associamo il concetto di territorio geografico a quello di soggetto politico internazionale.
Nel mondo antico non era esattamente cosi’. L’impero romano, ad esempio, per la buona parte della sua durata non fu affatto un impero, ma l’associazione di fatto fra una serie di soggetti teoricamente molto differenti. L’Egitto, ad esempio, era proprieta’ privata dell’imperatore, che lo amministrava tramite una specie di suo consigliere delegato (come se la Sardegna venisse gestita direttamente da Felice Confalonieri e appartenesse a Mediaset). Nell’ambito della citta’ di Roma, i principali poteri dell’imperatore derivavano essenzialmente dal suo status di tribuno della plebe (come se Berlusconi fosse “anche” segretario generale della Cgil).
E anche in politica internazionale, c’erano soggetti diversissimi, non tutti rispondenti a tutt’e tre i requisiti. Alcuni stati mancavano quasi completamente di popolazione e territorio, eppure nessuno metteva in discussione il loro essere soggetti di relazioni. L’isola di Rodi, ad esempio, su alcune questioni trattava alla pari con Roma e il diritto della navigazione era molto piu’ rodiota che romano. Alcune citta’-stato, nominalmente indipendenti, avevano poche centinaia di abitanti eppure, in teoria, erano alleate a pieno titolo di Roma. Quest’ultima mandava alle volte regolari ambasciatori presso i regni- pirati dell’Adriatico o dell’Egeo, la cui unica attivita’ conosciuta consisteva nel depredare il traffico marittimo al largo delle loro coste. Molti secoli piu’ tardi, del resto, i principati magrebini come Tunisi, Algeri o Salo’ (che vivevano di attivita’ analoghe) avevano i loro bravi consolati delle grandi potenze europee, pronti a trattare secondo i casi rappresaglie militari e riscatto di schiavi.
Nel nostro mondo, il concetto di governo e’ stato sempre associato – diciamo, dal Congresso di Vienna in poi – ai tre requisiti di cui dicevamo. Un governo e’ una cosa che governa una popolazione, di alcuni milioni di esseri umani, che risiede su un territorio, visibile a occhio nudo sulla carta geografica. Tutti i poteri del pianeta coincidono, con trascurabili eccezioni, con dei governi e la politica internazionale e’ fatta esclusivamente dai governi stessi. Questa concezione e’ entrata in crisi di fatto verso la fine degli anni Settanta. In quel periodo alcuni soggetti internazionali non- governativi hanno raggiunto un livello d’accumulazione di risorse tale, da conseguire una sorta d’autocoscienza, e da cominciare a vivere di vita propria. Nelle aree di confine dell’Occidente, la politica di alcune multinazionali (il termine e’ entrato in uso piu’ o meno allora) ha cominciato ad essere abbastanza indipendente da quella dei rispettivi governi. In Giappone, il governo legale ha cominciato ad essere percepito come una struttura di servizio del governo di fatto, consistente nelle grandi corporation verticali. Ma il fenomeno piu’ interessante si e’ verificato in Italia: una grande struttura transnazionale come Cosa Nostra, dotata di leggi interne e di strutture, con obiettivi non solo non coincidenti ma addirittura opposti a quelli dello stato ospitante, a un certo punto ha deciso di fare un salto di qualita’ e di “agire da stato”, in tutto e per tutto.
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Io trovo profondamente significativo che proprio in questo momento vengano fuori le rivelazioni del “pentito” Brusca (e credo che non siano le sole) sull’esistenza di una stagione di trattative fra settori dello stato italiano e la struttura quasi-statale di Cosa Nostra; Borsellino, secondo Brusca, sarebbe stato ucciso principalmente perche’ faceva da ostacolo a queste trattative. Significativo per due motivi: uno storico, di documentazione dei filoni reali della transizione italiana; e l’altro di pura coincidenza, di curiosita’ culturale (ma le “pure coincidenze”, in genere, hanno un loro messaggio e invitano alla lettura).
La coincidenza consiste in questo, che le conferme dell’esistenza di trattative e rapporti fra uno Stato ufficiale ed uno invece di fatto vengono fuori proprio nel momento in cui un altro Stato di fatto (quello, diciamo provvisoriamente, di Bin Laden) e’ sanguinosamente venuto fuori dal guscio e si erge come interlocutore ufficiale davanti a tutti. E’ la stessa situazione, su scala molto piu’ vasta, dei nostri anni Novanta. La’ Cosa Nostra “trattava”, con bombe e attentati, con l’Italia. Qua Laden (il mondo di Laden) tratta ferocemente con l’intero mondo.
Di questa “trattativa”, a suo tempo condotta, sappiamo le meccaniche e i frutti. L’Italia sbaglio’ tutto, si perse solo dietro i killer, trascuro’ completamente il background finanziario e gli obbiettivi reali, e infine – un passo dopo l’altro – rinuncio’ completamente a intervenire sulle radici del potere mafioso. Della “trattativa” in corso (che “trattativa” ci sia non dubitiamo) ignoriamo tutto. Ma, al di la’ dei proclami, percepiamo un sentore che e’ quello, perdente, di Italia vs Cosa Nostra.
Il prossimo CD di Michael Jackson verra’ prodotto con tecnologie che ne impediscano completamente qualunque forma di circolazione in rete. E’ il primo caso di divorzio esplicito fra musica e internet, anzi fra musica e tecnologia tout-court, dall’inizio degli anni Novanta.
Senza troppo clamore, intanto, le principali case discografiche hanno gia’ immesso sul mercato milioni di CD masterizzati in modo tale da impedirne la duplicazione via computer e la conversione in formato MP3 (quello ormai standard sull’internet). La massima riservatezza e’ stata mantenuta su questa operazione, ma i dati trapelati disegnano uno scenario impressionante. Macrovision, quest’estate, parlava gia’ di centomila CD SafeAudio immessi sul mercato gia’ a luglio da due delle principali major. Nessuna indicazione in proposito risulta sulle copertine dei CD trattati, nessuna comunicazione viene rilasciata dagli uffici-stampa delle case produttrici e fino a questo momento l’unico titolo “trattato” di cui si e’ a conoscenza con certezza e’ “Puur” di Volumia (Bmg).
Da un sondaggio Demoskopea (mille intervistati fra i 14 e i 70 anni) gli italiani si aspettano qualcosa di buono, dalla tecnologia, soprattutto nell’utilizzo domestico: un intervistato su due si dichiara interessato soprattutto a tecnologie di supporto alle faccende di casa.
Brevetti. E’ stato regolarmente brevettato “Un metodo per indurre i gatti a giocare, dirigendo un fascio di luce invisibile generata da un laser sul pavimento o muro in prossimita’ del gatto e quindi muovendo il laser creando sbalzi di luce mobile in modo tale da affascinare il gatto o qualunque altro animale con istinti predatori” (Brevetto Usa 5443036).
Lettera ai giornali:
<Vorrei prendere l’aereo con la certezza che non venga dirottato grazie ai controlli a terra, e comunque nessuno potesse entrare nella cabina di pilotaggio e se anche ci riuscisse gli fosse assolutamente impossibile dirigerlo fuori dalla rotta prevista. La tecnologia e i servizi di sicurezza lo possono garantire. Ma se pure non fosse cosi’ fatecelo credere lo stesso, convincendo noi e qualunque ipotetico terrorista.>
Giampiero Mazzone wrote:
<Vorrei raccontarvi l’avventura di un musicista che si muove all’interno del panorama discografico italiano tra difficolta’ ed ostacoli a volte incredibili.
Quando vivevo ancora a Catania – fino al 1984, anno in cui mi sono trasferito nella capitale – l’ambiente ed i mezzi per fare musica erano privi di sale prove e di registrazione; le occasioni per esibirsi dal vivo erano rare, episodiche e limitate ai festival dell’Unita’ o della Stampa alternativa (chi si ricorda ancora?) per pochissime lire che spesso non venivano neanche date. Mi occupavo allora di musica popolare facendo parte di diverse formazioni come la “Taberna Mylaensis”, “Le fronne”; ho collaborato col “Meridiano 15”; ho scritto musiche per il teatro in occasione di diverse iniziative tra cui il “Gruppo Maria Campagna” o il “Teatro di Reviviscenza” a Vizzini.
Mi battevo, allora (ed ero tra i pochi) per l’affermazione della dignita’ della musica popolare in una situazione in cui si cantava in inglese o si faceva piu’ o meno del jazz o della fusion. Era il periodo dei Denovo e prima ancora (anni ’70) del movimento all’interno del quale si sviluppavano esperienze musicali legate molto alla politica. Ad un certo punto, dopo aver riproposto brani appartenenti alla tradizione meridionale, mi sono messo a comporre io dei brani che, ispirandosi alla musica popolare, cercavano di trovare una strada nuova di composizione mischiando il popolare con altre esperienze che allora, a livello nazionale, si facevano strada: Canzoniere del Lazio, Carnascialia, Mauro Pagani, Musicanova ecc.
Ho scritto brani come “Dormi e vola” e “Si li me’ paroli”, oggi – mi dicono – tra i cavalli di battaglia ad esempio del gruppo catanese “Lautari”, ma allora poco compresi se non addirittura rifiutati. Mi si criticava, allora, l’uso del dialetto con argomenti poveri e stupidi: “il dialetto non e’ comprensibile da tutti”, mentre si suonava (quando si suonava) solo in Sicilia ed in un periodo in cui Pino Daniele e la NCCP riempivano le piazze e vendevano tanti dischi cantando in dialetto. Una volta trasferitomi a Roma il “problema” dialetto non e’ piu’ esistito, anzi!
In una sera del gennaio 1984 viene assassinato dalla mafia Giuseppe Fava. Io ero venuto a Roma per questioni personali, al mio ritorno cercai di organizzare un concerto con vari gruppi per Giuseppe Fava. Mi sembrava una giusta iniziativa da parte dell’ambiente musicale catanese per manifestare la propria indignazione e la propria presenza contro la mafia. Ebbene non vi riusci’. Le adesioni furono sparute e persino all’interno del mio gruppo la maggioranza fu contraria.
Da quella volta il mio rapporto con l’ambiente musicale catanese non e’ stato dei migliori e continuo a sostenere che, nonostante le apparenze, non sia nella sostanza cambiato di molto.
A Roma, una volta ambientatomi, fondai i “Tuckiena”, formazione che trovo’ subito una casa discografica ed un’accoglienza da parte della stampa ottima. Dopo questa esperienza e dopo il primo disco non riuscimmo pero’ a trovare un altro contatto perche’ – ci dicevano – che quel tipo di musica, definita etno-rock un po’ arbitrariamente, era superata. Oggi, invece, sembra quasi che chi non fa musica etnica (che brutto e inappropriato termine) non ha alcuna possibilita’. Conclusasi quella esperienza ho collaborato con Kaballa’, Carlo Muratori, la NCCP ed altre formazioni in qualita’ di autore di testi. Nel frattempo ho partecipato all’antologia di autori siciliani “Mastrarua” con il brano “Calura”, dedicato a Giuseppe Fava. Poi, nel 1998 ho partecipato e vinto il Premio Speciale della Critica e della Siae alla IX edizione del Premio Citta’ di Recanati, un riconoscimento prestigioso di cui mi vanto.
In mezzo a queste esperienze ho continuato a scrivere, registrare provini e spedirli a non so piu’ a quante etichette discografiche ufficiali (le famose majors) e cosiddette “indipendenti” (che poi si comportano, non tutte certo, come le majors) senza ricevere risposte ne’ positive ne’ negative e quelle poche che mi rispondevano sbrodolavano argomenti tipo: “belle canzoni ma poco commerciali” oppure “il mercato richiede altro” oppure addirittura “la canzone d’autore ormai… e poi lei ormai ha un’eta’… si insomma oggi vanno i giovani”!
Naturalmente non mi sono arreso e non ho alcuna intenzione di farlo, anche se qualche volta sono stato tentato di farlo. Cosi’, assieme ad un pugno di musicisti e di un altra figura importante per me e non solo musicalmente, decidemmo ugualmente di autoprodurre un Cd con i pochi mezzi che avevavmo a disposizione, ma con una componente di entusiasmo e di serieta’ davvero fortissima.
Sono trascorsi quasi due anni dalla registrazione, anni in cui abbiamo fatto ascoltare il disco a giornalisti e addetti ai lavori (cioe’ altri musicisti di grosso livello nazionale) raccogliendo consensi lusinghieri. Soltanto i nostri discografici non hanno mai risposto. Tuttavia abbiamo continuato a cercare, provare, spedire ecc. fino a quando (questa e’ storia recente) un’etichetta romana indipendente si e’ fatta avanti e, assieme ad essa, un’agenzia di management piccola ma agguerrita che, senza porsi problemi di mercato, di immagine ecc. hanno guardato alla qualita’ del prodotto, ai contenuti, al progetto, all’idea.
Il disco si intitola “L’avvicinamento” ed uscira’ quanto prima (probabilmente a novembre).
Dimenticavo. Ho provato anche con due etichette catanesi (di cui preferisco non fare i nomi). Una mi ha risposto di non avere la forza di appoggiare e seguire un progetto come il mio. La seconda (che poi e’ quella che ha prodotto l’ottimo Cesare Basile), invece, si e’ mostrata entusiasta, ma, dopo avermi preso in giro per molti mesi, d’improvviso non si e’ fatta piu’ viva. In tutti e due i casi devo dire che: non si trattava di produrre un disco per intero, ma solo di stamparlo e pubblicarlo, operazione con un costo minimo rispetto ad una produzione per intero. Non solo. Ma hanno entrambe mentito, perche’ poi ho saputo che hanno prodotto altri artisti di cui non se ne sa nulla in giro ed i cui prodotti anch’essi sono poco commerciali.
Mi chiederete perche’ ho voluto raccontare questa storiella. Semplicemente perche’ mi andava di farlo, perche’ sono stufo di assistere in silenzio a situazioni come la mia; perche’ anche il panorama musicale italiano e siciliano riflette un malcostume, una maleducazione, una mancanza di rispetto e di cultura che e’ presente nella nostra bella patria! Si puo’ definire questa mia esperienza una sorta di metafora? Non rubo altro spazio ed altro tempo. Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggermi.
Saluti.>
Dessert
Quelli che tenevano le porte aperte
quelli che amano gli operai se polacchi
quelli che nel conflitto a fuoco col topo d'auto
Quelli che si sono pentiti
quelli che non avevano nulla di cui pentirsi
quelli che si sono annoiati
quelli con l'orecchino e la cravatta
quelli che ora bocciano nel liceo occupato
quelli che sono diventati realisti
quelli che sono rimasti utopisti
ma vendono bene la loro utopia
quelli che hanno quarant'anni
quelli che ne hanno diciannove e con coscienza
studiano per quarantenni
quelli che non hanno mai corso molti rischi
ferocemente
educatamente
fraternamente litigano
fra la frutta e il caffe'
Il cameriere
che e' la' da vent'anni e ne ha viste tante
ancora una volta rassicurato
sogghignando
porta il conto