San Libero – 97

Per qualche strano giro di situazioni (ormai ne succedono tante) successe che Toto’ Riina alla fine non solo fu liberato con tante scuse dalla galera, ma addirittura fu messo a fare il presidente del consiglio. E Berlusconi? E Fini e Casini? E i Savoia? Come mai, fra tanti meglio di lui, proprio Riina? Non chiedetelo a me. Non ne ho idea. Io vi racconto semplicemente quello che ho sognato, senza levarci e senza aggiungerci niente. Dov’eravamo rimasti? Ah, si’. Dunque, Toto’ Riina viene portato, a bordo di una macchina blu, fino a piazza Colonna, gli indicano sul marciapiede di fronte dov’e’ palazzo Chigi e gli dicono: “Eccellenza, cuminciassi a guvernari”.
Figurati don Toto’. Quanto se l’e’ sognato quel giorno! In carcere, tuttavia, c’e’ molto tempo per ragionare. E per capire come si fanno alla maniera moderna le cose. Cosi’ don Toto’ non manda a morte nessuno (anche perche’ Ciampi gli metterebbe il veto), non ordina che gli portino immediatamente le riserve auree dalla banca d’Italia e non va a strangolare con le sue mani quel porco sbirro communista cornuto di Caselli. No. Le cose si fanno come vanno fatte, una alla volta e senza fretta. L’unico lusso che si concede, don Toto’ presidente, e’ di chiamare Sgarbi e ordinargli: “Adesso tu vai da quello sbirro porco di Caselli e ci dici che e’ uno sbirro porco e communista. Alla televisione”. Punto. Per il resto, calma e gesso.
Intanto, chi mettiamo al governo? Ci vuole uno che sappia le carte, un avvocato. Taormina andrebbe bene, gli amici gliene hanno parlato tante volte: ma si puo’ prendere un Taormina e metterlo, chesso’, a un ministero dell’interno? E se poi Ciampi s’incazza? Facciamolo viceministro. Ministro, prendiamo un coglionazzo qualunque, uno che non distingue un boyscout da un blackbloc (Riina legge i giornali). Un quacquaracqua’. Il ministro vero, lo fa Taormina. Se gli sbirri si permettono di mettere sotto processo qualche amico, lui va al processo, s’infila la toga e: “Sono il viceministro! – proclama – Questo galantuomo qua amico mio e’!”. E voglio vedere allora chi s’azzarda. E uno. Sgarbi, bravo picciotto, che con quel p.s.c.c. di Caselli, s’e’ fatto venire la bava alla bocca da quante glien’ha dette, una ricompensa se la merita. Ministro. Cosa? Ciampi s’incazza? E vabbene, viceministro pure lui. E un quacquaracqua’ sopra di lui, come al solito. Contento?
Ora pero’ basta coi divertimenti. Pensiamo alle cose serie, al lavoro. Oh, lo sai alla scorta di quel cornutissimo di Orlando che cosa gli hanno dato? Calibro nove bifilare lungo. A quella di quella gran troia della Boccassini, addirittura la mitraglietta. A quella di Caselli… Basta, i picciotti si lamentano da tutte le parti. Non si lavora. Non e’ che uno ogni volta puo’ perdere tre mesi a minare un’autostrada come per quell’altro cornuto…
Buoni, picciotti. Buoni. C’e’ qua don Toto’, che ci pensa. Via le scorte. Cosa? Si; via le scorte ho detto. Tutte quante. Niente mezze misure. D’ora in poi, Boccassini e Caselli sono cittadini come tutti gli altri. Non c’e’ scritto pure lassopra, “la legge e’ uguale per tutti?”. E io li faccio uguali!
Che altro c’e’. Ah, don Nitto a Catania, per esempio. Vuole lasciare i soldi ai figli, giustamente. Ce n’e’ voluta per farseli, i soldi, e per tenerli nascosti. E chi se li deve godere, quell’altro gran cornuto dello Stato? Uno deve pagare tasse pure per lasciargli quattro soldi, si fa per dire grazie a Dio, ai suoi figli? Via la legge sulle tasse, via!
A proposito di soldi. Don Michele il banchiere, buonanima, si lamentava sempre di quegli altri sbrirri e cornuti, e communisti macari loro, della Finanza. Controlli, ricontrolli, fals’in bilancio. Ah, ma allora vizio e’! Meno male che c’e’ qua don Toto’ che ci pensa. Falso in bilancio, via! Basta con ste’ cazzate! Abolito il falso in bilancio.
Visto, don Michele? E’ bastata una firma. Cosa, don Michele? Bahamas? Unn’e’ ‘sta Bahamas? Ah! E macari fin docu ‘sti sbirri communisti sbirruni vogliono fare le sbirrerie loro? E ora ci penso io! Annunca a che serve avere don Toto’ presidente, eh? A niente? Vuoi fare le indagini pure a casa dell’estero, vuoi mettere il naso in Svizzera, alla Bahamas, al Lussemburgo! E io ti levo la rogatoria, sbirro di merda, e voglio vedere ora come fai a fare lo sbirro in Svizzera e in tutti quegli altri posti. Eh! Voglio vedere la faccia tua quando i svizzeri ti diranno: “Nix rogatoria nix indagare” e ti ridono in faccia. “Le indagini si facissi a so’ casa”, ti diranno i svizzeri. Capito?
Cosa? Parra cchiu’ forti, picciottu! Cca io qua per sentire a voiautri sugnu! Ah? Capivi. Ma guarda che cosi tinte avi a sentiri unu!. Cosi mai viste. Tale’: uno va al supermercato. Va, parla, discute, passa alla cassa – niente! Non gli danno niente! E sapiti perche’? Perche’, dice u’ padruni, “Ho parlato con Tano Grasso”. Capitu? Infami! Ora dice che c’e’ uno che tiene un ufficio apposta per parlare coi commercianti e per montargli la testa che quando vanno i picciotti a chiedere u’ pizzu non ci hanno a dari una lira! Taormina! Tu che ti fici mezzuministru, veni cca’! Chiama a questura e fatti diri com’e’ sta cosa! Bravu!… Comu? Naaa! Tale’ tale’ tale’! MEINCHIA!
Scusassero, alle volte uno non si controlla. Sapiti ca ci dissi a Taormina la questura? Che stu Tanu Grassu non solo ci monta la testa ai commercianti e ci dice di non pagari; ma macari, per fare stu’ sporcu travagghiu di sbrirru, si fa pagari dallo statu! cioe’ dal governu! cioe’ ddi mia! TAORMINAAAA! Scrivi qua…
Ecco fatto. Abolito tuttu stu’ macchiavellu contro il pizzo e l’usura. Abolito u’ consigliere del cazzo al commerciante. Abolito stu’ Tano Grasso e ccu ci teni manu. Ahhhh! Avanzau un po’ di carta bollata: che ci facemu? Ecco: licenziati i giudici dal ministero. No, questa no che poi Ciampi s’incazza. Come? Non s’incazza? Ah, vabbe’: allora, licenziati i giudici etci’ etci’. Punto. A capo.

* * *
Poi mi sono svegliato.

O no?


La “guerra”, antropologicamente, produce: eroi ; imbecilli; e mascalzoni.
Degli eroi basta il nome, ad esempio il dottor Strada. Delle altre due categorie, solo un esempio per parte.
Nella categoria imbecilli, il primo premio questa settimana va all’anonimo lettore di un quotidiano che denuncia la necessita’ di indagare piu’ attentamente sugli incendi estivi, quasi sempre dolosi: Troppi atti dolosi per renderli credibili di italiani deviati e subdoli del disastro di interi territori considerati monumenti della natura. Che la mano operativa sia di altra natura e foriera di una ambivalenza straniera? E’ logico dedurre che siano la longa manus di atti criminali compiuti da iconoclasti terroristi no-global e contro la cultura occidentale. Distinti saluti ecc”.
Non daremo il nome dell’autore di questo capolavoro (il diritto alla coglionaggine, come quello alla ricerca della felicita’, e’ indiscutibile) ne’ del giornale che l’ha pubblicato, affinche’ tutti i quotidiani di destra possano rivendicarne la paternita’ ciascuno per se’, come a suo tempo fecero le citta’ della Ionia per i natali di Omero o quelle della Mancha per Quixada.
Daremo invece il nome dell’autore del pezzo che segue, che e’ un incitamento al crimine e come tale va pubblicamente denunciato. Si tratta del “collega” – nel senso di iscritto all’Ordine dei Giornalisti: che evidentemente dorme – Giuseppe De Tomaso, editorialista della Gazzetta del Messogiorno di Bari, che il 16 ottobre scrive:
“Per battere Satana a volte ci vuole Belzebu’. Durante la seconda guerra mondiale gli americani scesero a patti con mafiosi. Un Bin Laden catturato (vivo o morto) potrebbe provocare moti insurrezionali e blitz ricattatori. La Rete del Terrore va combattuta con sistemi assai piu’ sofisticati, anche se discutibili sul piano morale (…) La proposta potra’ sembrare scellerata (tu, malavitoso occidentale, mi aiuti a scardinare l’Organizzazione del terrore; io Stato, o gruppo di Stati, mi impegnero’ a ricambiare sul piano dell’impunita’ o della semi- impunita’). Ma ci sono davvero poche alternative per distruggere i virus terroristici nel mondo libero”.
La Puglia, in cui De Tomaso scrive, e’ una delle regioni italiane con la piu’ massiccia e sfrontata presenza mafiosa. Nella proprieta’ della Gazzetta, su cui scrive, c’e’ quell’editore siciliano Ciancio sui cui giornali, negli anni Ottanta, era vietato pubblicare necrologi di vittime della mafia. Cio’ premesso, la proposta di De Tomaso e’: alleiamoci con la mafia per combattere il terrorismo. “Alleiamoci con la mafia” per fare qualcosa di giusto e santo e’ un’idea che ho sentito decine di volte in vita mia. E’ l’idea piu’ mafiosa che si possa concepire, quella che ha permesso alla mafia di arrivare dov’e’ arrivata.
Non so se De Tomaso sia stato pagato dai mafiosi per scrivere quello che ha scritto. Ma d’ora in poi, quando leggero’ del ragazzino morto di droga a Bari, o del finanziere speronato e ucciso dai contrabbandieri in Puglia, fra i corresponsabili morali ci mettero’ anche lui.


Accidenti. Il solito miliardario che vuol decidere tutto lui (Bin Laden, naturalmente).


A un dibattito tv, tutti si accapigliavano addosso a un paio di esponenti musulmani in Italia: “Avete condannato poco Bin Laden! Perche’ non lo condannate abbastanza? Allora siete un po’ complici, tutti voi musulmani!”. E i poveri musulmani, uno imbranato l’altro rassegnato ad aver a che fare con semicivili, ripetevano per l’ennesima volta il loro anatema.
A me veniva in mente che mai nessuno si affollo’ cosi’ attorno a Pio XII per urlargli: “Non hai condannato abbastanza Hitler!”. Difatti, per ragioni “d’opportunita’”, non lo condanno’ mai, ne’ poco ne’ tanto. Gli ebrei non gliel’hanno mai perdonato. Ma questo non gl’impedi’ d’essere riverito e osannato da tutti, specialmente dai giornalisti e dai Baget Bozzo. Anzi, sembra che prima o poi lo faranno santo.


Sindacato. L’associazione degli ex membri di Gladio (la struttura militare segreta degli anni Cinquanta-Ottanta) rivendica un “riconoscimento politico” per l’attivita’ del benemerito sodalizio e chiede un incontro ufficiale, a questo scopo, al presidente della Repubblica. “Potete essere certi del mio entusiastico impegno”, ha fatto sapere l’ex presidente, ed ex gladiatore, Francesco Cossiga.


Cassazione. Assolti Berlusconi e Pavarotti (tangenti alla Guardia di finanza, evasione fiscale).


Titolo sul Corriere: “I coltivatori di dubbi”. L’articolo (Zincone) e’ un elenco di italiani poco patrioti che nell’ora del supremo cimento della Patria “coltivano dubbi”. E non, come sarebbe giusto, ortaggi nell’orto di guerra.


Jet-set. Il sindaco Gabriele Albertini e il senatore Umberto Bossi si sono lungamente abbracciati e baciati, fra gli applausi commossi della platea, sul palco di un convegno della Lega. Si conclude cosi’ la lunga rottura (durata quasi quaranta numeri di Novella Tremila) fra i due popolari esponenti del jet-set milanese: il Bossi aveva messo in giro antipatiche voci su una presunta omosessualita’ di Albertini, che aveva reagito mettendo al bando da casa sua il ruvido guerriero lumbard. Pace fatta, comunque: “La Lega e’ una gran forza, di governo” ha strillato eccitatissimo, dal palco, Albertini. E poi via fra le braccia di Umberto.


Persone. Ucciso in Burkina Faso il missionario italiano Celestino Digiovambattista, dell’Aquila. Padre Digiovambattista, in Africa da trent’anni, ultimamente lavorava presso le carceri e l’ospedale civile di Ouagadougou. E’ stato accoltellato da un ricoverato, malato di mente, ed e’ morto poco dopo il ricovero in ospedale. Avrebbe compiuto fra poco sessantotto anni.


Cina. Su tutti gli aerei in partenza o di passaggio da aeroporti cinesi sara’ vietato, d’ora in poi, l’imbarco ai cittadini arabi e israeliani. Vengono esclusi solo i viaggiatori provenienti dal Pakistan, i quali dovranno tuttavia dimostrare di non avere “comportamenti o storie personali inusuali”. Il provvedimento, che segna un’altra tappa del faticoso passaggio del paese alla democrazia liberale, e’ stato giudicato esemplare in diversi ambienti diplomatici europei.


Novecento. Se entrate a Roma dalla via Cassia, la mattina presto, piu’ o meno all’altezza del Labaro vedrete schierata lungo i cavalcavia una trentina d’uomini fra i venti e i cinquant’anni. Non hanno un’aria “strana”, tutt’altro: borsoni di plastica, giubbotti in similpelle, buste da supermercato con dentro i panini, capelli corti, maglioni stazzonati. Sono i manovali rumeni che, in quel luogo e a quell’ora, si recano al mercato del lavoro.
Il mercato e’ proprio la’, al bordo della strada. Chi ha bisogno di uno di loro, si ferma e contratta il prezzo. Fino alle sette e mezza, il mercato e’ vivace. Verso le otto e’ spento, e alle otto e mezza e’ decisamente terminato. Pure, qualcuno di quegli uomini rimane fermo la’ anche a quell’ora (e sono per lo piu’ i cinquantenni); non e’ detto che, alle volte, non si produca – chi lo sa – un’eccezione. Spuntano dei giornali (dei Metro, dei LeggoRoma, a volte la carta rosea della Gazzetta) e si mette a leggere, sempre aspettando. Alle nove, comunque, non c’e’ mai piu’ nessuno.
Non e’ una scena strana, quella di questo mercato. Al contrario: una trentina d’anni fa era comunissima in Puglia o in Sicilia – per i lavori agricoli – ed anzi, nei paesini del Sud, era una delle piu’ normali. Il mercato degli uomini, tuttavia, allora non era all’ingresso delle citta’, bensi’ in piazza. I braccianti di Avola, o di Tricarico, avevano fra le loro ricchezze una carta d’identita’ “Repvbblica Italiana”. Questa carta dava loro il diritto di potere vendersi in qualunque luogo del territorio nazionale, ivi compresa la piazza del loro paese. Che atavicamente si trasformava, ad ore determinate, da agora’ in mercato: del pesce, delle braccia, della verdura; secondo le opere e i giorni, e il volgere immutabile delle stagioni.
I braccianti rumeni non hanno (non hanno ancora) quella carta. E dunque si vendono extra pomerium, oltre la linea sacra delle mura. Con la stessa pazienza, con la stessa tranquillita’, la stessa accettazione rassegnata.

* * *
Un bracciante su dieci, nelle campagne d’Italia, non e’ italiano. O meglio: non e’ italiano d’origine, lo e’ – antiquo more italico – per incorporazione civile. Viene da Timisoara e dalla Moldavia come un tempo dalle Calabrie o dal Polesine, con una parlata, con delle foto nel portafogli e una valigia in citta’, da qualche parte, in una pensione. Dal primo momento che mettono piede in Italia, sono – profondamente – italiani. Avevano un mestiere, al paese. Sanno che qui al nord non gli servira’ piu’ a niente. Sanno che dei rumeni (degli albanesi, dei montenegrini, dei calabresi, degl’italiani) si parla male per via dei delinquenti che effettivamente esistono e che al nord si scatenano piu’ che al paese. Ma non hanno paura di lavorare e in questo sono esattamente i noialtri di due generazioni fa.
Cosi’, coi panini per la giornata dentro la busta di plastica e il maglione pesante per il freddo dell’alba, eccoli pronti qua, in questo film anni Cinquanta, ad aspettare il Lavoro.

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Non c’e’ un Di Vittorio per i rumeni, non ancora. Non c’e’ – ancora – un Tonino Micciche’ che chiami i siciliani allo sciopero ai cancelli di Mirafiori. Non sono poi moltissimi, gli anni che son passati: chi e’ di mezz’eta’, se e’ di famiglia operaia, ha fatto in tempo a sfiorarli. Le voci ai cancelli della Fiat, in quegli anni Sessanta. A volte, nella nebbia, l’unica presenza umana erano quasi solo le voci. Adesso, nel ricordo, non ha piu’ tanta importanza quello che dicevano; come lo dicevano, piuttosto, i dialetti, gli accenti. “Meinchia!” e “Boja faus!” che si rincorrevano nell’ovatta. Parole meridionali, siciliane, pugliesi, e parole di fabbrica, da molto tempo di fabbrica, torinesi. Come si riconoscevano le parole. E l’italiano “politico” delle assemblee, dei contratti. Quando bisognava stare tutti insieme, anche nei suoni. La lingua franca dei cancelli di Mirafiori. Meridionalese stretto, nei giorni degli scioperi, lo parlavano solo i guardiani.


I nomi. I piu’ diffusi in Italia adesso sono Giulia e Lorenzo. Nomi sobri, tranquilli, di un’eleganza civile e non strillata. I nomi non li scelgono piu’ dunque gli sceneggiatori delle telenovelas (Addio Samantha e Walter, addio Joshua e Pamela) e da un sacco di tempo non li sceglievano piu’ i nonni (Addio Giuseppe e Maria, addio Ambrogio e Concettina). Nell’uso corrente fra i ragazzi, sono sempre piu’ rari i nomignoli e anche i diminuitivi: il nome viene pronunciato per esteso, fin dai primi anni di vita. Nei rapporti di lavoro, il nome e’ praticamente sparito: ci si chiama sempre piu’ spesso per cognome anche in uffici molto piccoli. I giovani di solito adesso firmano, correttamente, con nome e cognome nell’ordine; gli anziani, quasi tutti, col vecchio burogratico cognome-nome (“Frescobaldi Luigi!”. “Presente!”. Oppure: “Con osservanza, Frescobaldi Luigi”).


Rinco. Nel periodo della scuola dell’obbligo, in Italia, un bambino passa in media undicimila ore a scuola e quindicimila ore davanti alla tv. In questo periodo, assiste a circa ottomila rappresentazioni televisive di omicidi, piu’ o meno credibili e piu’ o meno dettagliate. Fra i tre e i dieci anni, quasi meta’ dei bambini ingeriscono una razione quotidiana di televisione non inferiore alle quattro ore.


Pacifico. Che fine ha fatto l’isola di Takuu (Papua)? E’ l’atollo corallino, con circa duemilacinquecento abitanti, di cui sei mesi fa veniva segnalato il rapido “affondamento” (una decina di centimetri l’anno) a causa dell’innalzamento del livello marino nella zona dovuto, a sua volta, all’effetto serra.
Le isole del Pacifico, secondo i primi navigatori (Bouganville, Cook) erano una specie di paradiso terrestre abitato da felici indigeni che non facevano altro che mangiare, prendere il sole e fare l’amore tutto il giorno (e la notte). I marinai occidentali hanno portato loro la sifilide. I missionari, la posizione del missionario. I governi, i gendarmi, gli hamburger e le guerre. Tutto questo per dire che se una fine del mondo ha da esserci, pare tristemente appropriato che debba cominciare proprio la’.


Mercato. Una donna di silicone, utilizzabile sessualmente, costa da due a venti milioni completa di biancheria intima, di rosa di plastica (per il corteggiamento) e di accessori vari. E’ l’erede della vecchia bambola gonfiabile, che pero’ aveva l’inconveniente di non poter essere torturata (a scopo erotico) con la sigaretta.
(Credo che una ragazzina a Tijiuana o Bagkook, pero’, costi meno di venti milioni. Interessanti interrogativi sulle leggi economiche che regolano il mercato delle donne, vere o di plastica, il cui ruolo nel mondo – al di fuori di pochi luoghi privilegiati – tende sempre di piu’ ad amalgamarsi).


Evvia, mica bisognava aspettare la Cepu, quella finita sotto indagine a Siena, per “privatizzare” gli esami! All’Universita’ di Messina, per esempio, molti esami erano gia’ in vendita gia’ da prima, almeno dal ’96 per l’esattezza. Bastava andare dal rappresentante locale della Societa’ (in questo caso non la Cepu, ma la ‘ndrangheta) e dirgli che esame ti serviva: quello ti diceva il prezzo, e tutto andava a posto.
A Messina purtroppo – la ‘ndrangheta usa un marketing diverso da quello della Cepu – attorno a questa storia ci sono stati dei morti ammazzati: un professore, Matteo Bottari, ad esempio, e’ stato assassinato a fucilate per la strada. Forse una faccenda di donne, scrisse il quotidiano locale, la “Gazzetta del Sud”. “Niente sappiamo, niente abbiamo visto” testimoniarono coraggiosamente gli illustri cattedratici, Rettore in testa.
Alla fine, nonostante i silenzi, lo scandalo scoppio’. Scoppio per merito di un ragazzo, Antonello Mangano, che nella sua tesi di laurea affronto’ i rapporti fra baroni universitari, mafia e massoneria nella citta’. Universita’ compresa.
Il relatore della tesi, professor Mario Centorrino, gli ritiro’ immediatamente la firma. La storia pero’ ando’ a finire sui giornali, e la tesi di laurea divenne un libro (“Il grado di coesione”, Editori Riuniti). Alla fine, intervenne la magistratura.
Antonello, che naturalmente come giornalista nessuno ha voluto in redazione, adesso fa un sito Internet, su storie siciliane e del resto del mondo, che a me sembra fatto bene e soprattutto (Antonello perde il pelo ma non il vizio) molto molto ben documentato. Dategli un’occhiata.

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Cerimonia in Sicilia

Quelli che cavaliereggiano
Quelli che presenziano
Quelli che telegrammano
Quelli che scoprono le lapidi
Quelli che la citta' commossa
Quelli che mentre il trombettiere suona il silenzio d'ordinanza
Quelli che lentamente il feretro
Quelli che la televisione riprende in primo piano
Quelli che non osera' mai riprendere
Quelli che un'indegna campagna di stampa
Quelli che il benessere della Nazione
Quelli che danno lavoro a quindicimila operai
Quelli che non ci faremo impiccare a un titolo di giornale
Quelli che non lasciarsi sopraffare dall'impulso
Quelli che le miserie dei giudici
Quelli che lo conoscevano bene
Quelli che il giorno dopo dichiarano
Quelli che non rilasciano dichiarazioni
Quelli che dichiarano le tasse
Quelli che non le dichiarano
Quelli che sono al ventunesimo posto nella lista dei contribuenti
nonostante i loro duecento miliardi d'evasione fiscale
Quelli che la Sicilia diffamata
Quelli che per equivoco

mentre la banda suona l'inno di Mameli
e fuori splende il sole