testo Domenico Pisciotta, foto Alessandro Romeo
Dagli inizi del mese di maggio una serie di incendi ha interessato, da nord a sud, i terreni confiscati alle mafie e affidati alle cooperative. Brucia la terra e bruciano le coltivazioni. Molti sono i sospetti sulla natura dolosa degli incendi. Non è una novità che la mafia desideri in ogni modo punire e intimorire chi con grande coraggio converte alla legalità terreni e immobili.
Gli incendi hanno interessato le località di Mesagne, dove sono andati in fumo sette ettari coltivati a grano, Castelvetrano, un uliveto di 20 ettari, Partanna, un uliveto di 10 ettari, e ancora Borgo Sabotino, la piana di Gioia Tauro e tanti altri. Gli atti di intimidazione mafiosa non hanno risparmiato nemmeno i campi di contrada Casablanca a Belpasso, gestiti dalla Cooperativa intitolata al poliziotto Beppe Montana, ucciso dalla mafia nel luglio del 1985 a Palermo. Nella notte del 2 maggio a causa di un incendio sono andati distrutti sei ettari di agrumi e un centinaio di ulivi, per danni calcolati nell’ammontare di 120 mila euro. La matrice dolosa, è tutta da dimostrare, ma il buco rinvenuto nella recinzione alimenta i sospetti. Non sono state rinvenute tracce di carburante ma la presenza di erbacce secche non esclude che per i responsabili sarebbe bastato poco per far divampare un incendio. La cooperativa coltiva i terreni che furono confiscati, alla fine degli anni ’90, alla famiglia Riela, affiliata al clan Santapaola.
Nei giorni successivi la società civile si è stretta intorno ai soci della cooperativa: i partecipanti ai campi estivi di Libera, il GAPA, gli scout, Legambiente Sicilia, rappresentanti delle istituzioni e di alcuni partiti. Quest’ultimi sempre presenti ma non sempre coerenti alla loro parole. Dal viceprefetto Giuffrè che forse si è dimenticata che la sua circoscrizione non termina a piazza Duomo, ma continua oltre gli archi della marina o come un certo Tasinato, che in rappresentanza dei Giovani Democratici afferma che la mafia è una montagna di merda ma poi si dimentica di far parte di un partito che appoggia un presidente della regione indagato per mafia. Misteri della militanza politica.
Ad ogni modo un’esigenza si è resa palese dalle parole dei molti intervenuti. Non bisogna lasciare sole queste realtà. Occorre costruire un muro comune per difenderle. In Italia abbiamo 12121 beni sequestrati alle mafie (10563 immobili e 1558 aziende), di questi 5251 si trovano in Sicilia (4673 immobili e 578 aziende). Una risorsa enorme da riconvertire alla legalità. Possono essere beni da utilizzare per trasferirvi uffici pubblici e dismettere sedi prese dalla pubblica amministrazione in affitto; luoghi da destinare alle tante associazioni che operano a sostegno dei minori e della terza età; luoghi da affidare a giovani che intendono investire e produrre profitto lavorando la terra della propria regione; luoghi da far rivivere nel segno di una moralità che “brucia” chi con la paura intende spegnere il futuro della nostra terra. Per tale motivo occorrono procedure più rapide per l’assegnazione alla società civile dei beni confiscati; occorre che coloro che ottengono tali beni possano godere di vie privilegiate per l’accesso al credito bancario, unica via per finanziare la riconversione ad attività legali dei beni confiscati; occorre che lo Stato predisponga una serie di misure per evitare che le aziende confiscate una volta rese nuovamente operative si vedano negata la possibilità di lavorare perché non le sono proposte più commesse, alla luce di dirette e indirette pressioni mafiose.
Un bene sequestrato è un pugno dato alla mafia; un bene sequestrato che non si riesce a rendere produttivo è una sconfitta per la società civile e un successo per le organizzazioni mafiose che riescono a confermare la loro supremazia sul territorio. La vicenda dell’azienda di trasporti Riela Group sempre di Belpasso, guarda caso, deve insegnare. Intanto la minaccia ai beni confiscati continua: negli ultimi giorni sono andati in fumo metà del raccolto di grano delle cooperativa “le Terre di don Diana” che opera sui campi confiscati ai boss casalesi, 5 ettari di legumi a Isola Capo Rizzuto ed è stato tentato l’incendio di 4 ettari di agrumi a Lentini.