“Ti crei la famiglia e diventi amico dei clan”

Nei quartieri popolari un gioco che gioco non è

Ivana Sciacca

Bambino in mascheraSupereroi e principesse, gattine e conti Dracula. Eccoli. I più fortunati hanno attraversato la via Etnea e vivacizzato la villa Bellini mettendosi in posa per farsi fotografare da genitori fieri e premurosi. Poi ci sono gli altri. Alcuni non ce l’hanno proprio un vestito di carnevale, altri sì, altri ancora hanno improvvisato solo disegni sulla faccia. Di questi ultimi nessuno ha sfilato in via Etnea probabilmente, e i genitori forse neanche sanno cosa sia una reflex. Però non sapendolo non si potrebbe dire che sono bambini del San Cristoforo o di Librino. Sono bambini, e basta.

Poi parlandoci viene fuori la guerra che hanno dentro e che vivono quotidianamente, e forse neanche lo sanno. O forse la capiscono così bene che continuano a stringere i pugni più forte: o per paura, o per rabbia, o per colpire.

“Noi abbiamo il gioco del Padrino a casa. È troppo bello, ci giochiamo sempre. Ti crei la famiglia, diventi amico dei clan, ammazzi e conquisti quanti più territori possibili”. Daniele lo dice in un dialetto così stretto che l’unica cosa che viene da sperare è di aver capito male.

“Ma a voi quando sentite la parola “mafia” cosa viene in mente?”. Sorridono tutti e a turno associano alla parola ciò che vedono o sentono o vivono ogni giorno: rapinatori, spacciatori, scippatori. Questi sono gli eroi qui: se non altro riescono a portare qualche soldo a casa. Che poi facciano del male ad altre persone o vadano a finire in galera passa in secondo piano.

È la sopravvivenza, il non morire che conta.

Disciplina? Regole? Dialogo? Li dettano i boss del quartiere, e nessuno batte ciglio. Anche perché se non vai a delinquere l’alternativa qual’è? Se va bene qualcuno ti assume e vai a lavorare sfruttato e sottopagato, e se ti va bene guadagni venti euro a settimana. La dignità vale venti euro qui, e a volte anche meno, e alternative non ce ne sono.

“Quando sono venuta in Italia avevo sette anni, mi sembrava una vacanza, anche se mi dispiaceva lasciare il mio Paese. Adesso che mi sono fatta la mia vita qui, ho i miei amici e conosco sia la lingua che la città sarò costretta a ricominciare tutto da capo andando in Francia o in Belgio, perché i miei genitori non hanno più un lavoro”. Lei la chiameremo Federica.

È forte, non le spuntano le lacrime se pensa che dovrà ricominciare tutto da capo. Verrà sradicata una seconda volta da una terra che, come la sua d’origine, la rigetta perché non è in grado di garantirle sopravvivenza. E quindi dovrà attraversarne altre di terre, impararne altre di lingue, dovrà rinunciare agli amici cui si è legata ed azzerare la sua vita. Se non vendi la dignità te ne vai. E se resti è dura. Qua è così.

La musica allegra continua a suonare, le maschere scorrono, i dispetti si confondono con i soprusi, le pistole giocattolo sembrano vere, e Robin Hood ruba ma è povero lui stesso, ed ha solo otto anni. Eppure deve essere sancito da qualche parte nella Costituzione dei diritti umani il diritto all’allegria. “Non si può vigilare sul quartiere” dice Paolo. Dovrebbe farlo qualcun altro in effetti, ma non c’è, non c’è stato mai lo Stato qui. E quindi si continua a sopravvivere così. Privati di ogni forma di comunicazione umana tutto rimane solo violenza.

E anche poggiare una mano su un braccio viene vissuto come un gesto di sopraffazione “Mancu di vaddia mi fazzu mettiri i manu ncoddu”. Ma tanto qua i vaddia vengono solo per fare le retate ogni tanto e non hanno alcun potere per fermare questa macchina infernale che si ciba di vite, di speranze, di sogni che non si realizzeranno mai.

E chi il potere ce l’ha qua non ci viene lo stesso perché potrebbe essere pericoloso per la loro incolumità. Chi il potere ce l’ha gioca a fare il supereroe sulla carta millantando progetti che non hanno lasciato nessuna traccia. Chi il potere ce l’ha sa che per mantenerlo deve diventare amico dei clan come nel gioco del Padrino.

Peccato che questo non è un gioco. E se si soffre si soffre davvero, se si muore si muore davvero.