In occasioni minacciose questa domanda dichiara una lite imminente
di Valeria Zagami
Spesso mi è accaduto di sentirmi dire queste parole. In occasioni minacciose e poco chiare, questa domanda dichiarava una lite imminente. Di solito il corpo di chi pronuncia tali parole è in una posizione di prepotenza: “coppu rittu e iammi lagghi, e na caminata pronta al combattimento”per dimostrare “ca ju sugnu masculu”.
Ne ho incontrati tanti nella vita? Purtroppo parecchi. Ma adesso li individuo facilmente da queste caratteristiche e li evito come se avessero la peste, non mi interessa ascoltare che cosa hanno da dire, né tanto meno mi interessa esprimere una mia opinione in loro presenza, perché abbiamo convinzioni fortemente differenti: io penso fermamente che non sia la forza fisica di una persona a decidere il suo essere uomo oppure no, loro invece pensano esattamente il contrario.
“Chi c’è cosa”? Una volta guardandomi storto la voce ostile di un uomo mi disse esattamente così. Non c’era niente di strano, e quel giorno e in quel momento non avevo lontanamente neppure l’intenzione di parlare con qualcuno, ma l’arroganza e la prepotenza del mio interlocutore mi fecero avere paura. Sì, mi fecero così tanta paura che ho temuto per la mia sicurezza personale. Nessuno mi aveva toccato con un dito, ma gli occhi verdi di rabbia e il tono della voce, prepotente e arrogante, mi avevano fatto capire le sue intenzioni. ‘’Non ho niente da dire’’ risposi al mio interlocutore, e con fierezza e dignità me ne andai, lasciando l’uomo in compagnia della sua prepotente e arrogante personalità.
Ho pensato esattamente che fosse inutile perdere il mio tempo a parlare con chi delle parole non fa uso, ma utilizza la violenza e le minacce attraverso un linguaggio ostile.
Con chi minaccia con prepotenza, e cerca la famosa ‘’questione’’ – ovvero un motivo per litigare a tutti i costi – non ho alcuna intenzione di intraprendere alcun dialogo. Questi episodi della mia vita che racconto sono utili a tutti per prendere visione di certi fatti, per avere chiaro che cosa succede intorno a noi e soprattutto a noi donne per decidere di prendere le distanze da tutto ciò che ci sembra caratteristico di un modo di fare che non ci appartiene e non accettiamo.
Dobbiamo andare via quando siamo in una situazione poco chiara, o che non ci convince del tutto, che sentiamo distante dal nostro modo di essere. Così come ho fatto io quando mi è successo di ricevere degli sguardi minacciosi. Lo sguardo intimidatorio è un modo di guardare fisso e prolungato che comunica disprezzo e disappunto con pervicace insistenza. È una chiara volontà di umiliare l’altro, di infliggergli una sofferenza attraverso la vergogna.. Sì, perché uno sguardo carico di malignità rivolto a qualcuno ha il solo scopo di fare abbassare gli occhi di chi lo riceve, affinché la vittima si senta indegna e per questo debole e disperata, e incapace di mantenere alta la testa, e con essa gli occhi.
Passare gli anni della propria vita, in particolare dell’infanzia, in un contesto dove la maggioranza degli sguardi ricevuti sono di questo genere significa crescere in un contesto di fragilità, di debolezza, perché chi è vittima di questi sguardi pensa di non essere degno di ricevere accoglienza e approvazione, in una parola soltanto significa pensare di non essere degni di ricevere “amore”.
Bisogna sottrarsi da questi sguardi meschini e ignobili, e cercare altri sguardi, che nascono da ben più alti sentimenti che sono la tenerezza, la dolcezza, la comprensione e la compassione, che solo sguardi benevoli e amorevoli possono donare. Ci sono tanti casi che denunciano come l’atteggiamento del corpo, come abbiamo descritto sopra, dichiara esattamente l’espressione di un messaggio, di un comportamento preciso.
Ad esempio, può accadere che all’interno del proprio nucleo famigliare, ci sia un componente che esercita il proprio dominio sull’altro attraverso lo sguardo.
Con gli occhi gestisce ogni movimento dei membri della famiglia, autorizza o nega le azioni che possono compiere, tiene tutti sotto scacco e direziona ogni movimento possibile e condiziona la libertà dei malcapitati. È lo sguardo di chi si sente “l’autorità” e vuole “cummannari” su tutto e tutti, la pena per chi si ribella a tale autorità è la conseguenza di una grande violenza che può essere agita verbalmente o fisicamente.
C’è una sola caratteristica che accomuna tutti gli atteggiamenti e le posizioni fisiche che abbiamo descritto, ed è la profonda ingiustizia che è radicata in ognuno di essi, ovvero l’ingiustizia antica, la disgrazia che si ripercuote in chi è vittima di azioni abusanti, volte a sottrarre il bene più profondo che esiste: la dignità personale che ogni essere umano ha il diritto sacrosanto di possedere.